“Quella scossa fu un’apocalisse. Avellino mi ha dato tutto”

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Nella storia dell’Avellino il nome di Mario Piga è destinato a rimanere legato al gol che valse la promozione in Serie A. Il cammino del centrocampista sardo in biancoverde, però, è fatto di molti altri momenti indimenticabili. Uno su tutti la sera del 23 novembre 1980, quella del terribile terremoto, di cui Piga conserva ancora intatta la memoria. Ai microfoni de Il Fatto Quotidiano, l’ex calciatore ha ricordato la sua esperienza, descrivendo nei particolari la drammaticità di quell’evento: “Vivevo con moglie e figlio in zona Alvanella. In casa quella sera c’era anche mia suocera e Pierpaolo Marino, il giovane dirigente con cui avevo un bellissimo rapporto. Eravamo tutti a tavola per la cena. Avevo la forchetta in mano e i tortiglioni sul piatto, sentii tremare il pavimento come fosse entrata una ruspa da sotto per sfasciare tutto. Presi immediatamente il bambino in braccio, mentre Pierpaolo diceva: il terremoto, il terremoto…”.

Nel tentativo di scappare, Piga rimase anche ferito alla mano, per poi recarsi in ospedale: “Eravamo al primo piano, il portone era chiuso, la chiave era là ma non la trovavo. Ho rotto un vetro e mi sono fatto male. Fuori era buio ed era un caldo torrido. Tutto sembrava strano. Alla mia auto parcheggiata lì fuori, se ne erano attaccate altre due ai lati. Pierpaolo mi disse di andare al pronto soccorso. In pochi chilometri ho visto cose allucinanti: case crollate, pali della luce a terra, gente che gridava. Un’apocalisse. In ospedale assistetti ad altre scene incredibili, tutti erano presi dal panico. La sala dove mettevano i punti di sutura era in una zona dello stabile molto pericolosa qualora fosse arrivata un’altra scossa. Un infermiere mi riconobbe e mi curò perché la mano non poteva rimanere in quelle condizioni. In dieci minuti mi mise 8 punti e ritornai verso casa”.

“Eravamo una bella squadra…”

I giorni successivi furono tragici, con la squadra costretta ad andare avanti nonostante l’inferno che la circondava: “Furono tremendi per tutti. La squadra dovette trovare un nuovo campetto per gli allenamenti, al mercoledì ci spostammo a Montecatini perché la partita con la Pistoiese non venne rinviata. Perdemmo 2-1, eravamo completamente imbambolati. Giocammo due gare casalinghe allo stadio San Paolo di Napoli. Vittoria con il Catanzaro, poi pareggio con la Juve grazie ad un mio gol. Fu la svolta della stagione”.

Ancora oggi quella squadra rappresenta un orgoglio per la gente irpina, soprattutto per la forza d’animo che mise in campo: “Era una bella squadra. Vinicio faceva un calcio aperto, beccavamo qualche gol in più ma avevamo una mentalità offensiva. In quella partita con l’Ascoli erano in campo contemporaneamente Juary, Vignola e Ugolotti. Io ero un tuttocampista come oggi può essere Barella. Soprattutto c’era un bel gruppo, che andava d’accordo con società, tifosi e giornalisti”. Anche per questo Piga è rimasto nel cure di tutti, ragion per cui l’ex calciatore ritiene di avere un debito con la città: “Avellino mi ha dato tutto, compresi i campionati più belli della mia carriera. È la mia seconda casa. Quando passo in città, l’affetto della gente mi mette persino a disagio”.





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