L’ economica circolare è il futuro, fondamentale democrazia territoriale – IL CIRIACO

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Incontriamo il Prof. Mario Malinconico, Direttore di ricerca dell’Istituto per polimeri, compositi e biomateriali, del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pozzuoli, in occasione della presentazione del “Piano Strategico di Sviluppo” presentato da “AgribioM” e promosso dal G.A.L. “Partenio” nell’ambito del Progetto Pilota per l’ introduzione di metodi innovativi di Economia Circolare nel sistema produttivo locale della filiera vitivinicola dell’areale del “Greco di Tufo” D.o.c.g. .

Quella che ci accoglie a Tufo è una giornata da atmosfere carducciane dove passando per i vicoli del centro storico e per le strade rurali che portano ai vigneti del rinomato vino si colgono i profumi e i richiami della vendemmia che da qualche giorno sta coinvolgendo la comunità locale. Siamo nel cuore del “Greco di Tufo” , alla frazione San Paolo, dove lo sguardo si infrange ad arco contro le muraglie del Terminio, poi del Partenio e, infine, del Taburno, mentre una coltre leggera di foschia ottobrina avvolge la Valle del Sabato, silenziosamente distesa ai nostri piedi.

Prof. Malinconico è stato rapito da questo scenario incantevole e non nasconde la sua sorpresa nell’aver “scoperto” da vicino uno scrigno di bellezze naturali e antropologiche di grande suggestione.
“Questo è un territorio che certamente ha le caratteristiche per poter chiudere il cerchio di un’economia di alto valore in quanto ci troviamo di fronte a una straordinaria originalità, che si pone in una posizione predominante nel contesto regionale, dalle grandi potenzialità e che ben si presta a incontrare l’innovazione dell’economia circolare” .

Prendo spunto da queste considerazioni iniziali per chiedere come si pensa di poter innestare in un contesto di grande interesse agronomico, ma pur sempre caratterizzato da forti elementi di tradizionalismo, l’innovazione culturale prima che sistemica dell’economia circolare.
“ Nel momento in cui un territorio ha operato per motivi storici, ma anche pedologici e culturali, un certo percorso, su questo cammino occorre chiudere il cerchio. La Campania è una regione italiana ed europea dove esistono produzioni dall’alto valore aggiunto, anche diversificate, per cui mantenere queste fatture significa valorizzare l’intera filiera del coltivo, inclusi i sottoprodotti delle lavorazioni.

Quindi, è una proposizione che può essere sostenuta anche in altri contesti agrari della Campania…
Certamente. Questo è il concetto base che cerchiamo di applicare anche in altri areali, come quello dell’agro-nocerino nell’ambito della filiera conserviera, oppure quello della Piana del Sele, anche se in quel contesto le problematiche sono di diversa natura perché sono maggiormente legate all’impatto delle lavorazioni essendo aree vocate alle coltivazioni stagionali orticole. Lì si interviene per migliorare il rapporto di salvaguardia sia delle acque che dei terreni rispetto all’impiego dei fitofarmaci, per cui l’obiettivo è ridurre l’impatto ambientale ma anche i costi .

Come Lei sa l’Irpinia presenta delle caratterizzazioni agricole di pregio che hanno una diversa ricaduta anche nel ciclo di produzione lavorativa, per cui le esigenze dovrebbero essere diverse.
Rispetto alle rinomate colture irpine, legate in particolare alla vite, all’olivo, alla nocciola e alla castagna, miriamo alla valorizzazione degli scarti e della trasformazione in quanto l’agricoltura in queste aree si è dotata di una capacità di trarre valore aggiunto dai prodotti con dei marchi di qualità . Oggi uno dei componenti dell’agricoltura di qualità è l’agricoltura sostenibile per cui è fondamentale trattare le piante rispettandone di più la loro fisiologia senza caricare ulteriormente sia la parte del terreno che quella arborea di eccessivi trattamenti chimici . Realizzare un’agricoltura di precisione da un lato, dall’altro migliorare la gestione degli scarti delle produzioni sia primarie che i risultati della prima trasformazione , nel caso del settore vitivinicolo le fecce e nel caso dell’olivicoltura le sanse. Oggi le tecnologie in nostro possesso possono aiutare nei materiali con cui sono costituiti questi prodotti a trovarne materia prima per farne dei nuovi . Materiali compositi per la realizzazione di oggetti o di protezioni per i terreni agricoli oppure bioplastiche . Questo è il settore in cui stiamo investendo molto in termini di conoscenza e rispetto al quale troviamo interessante il progetto promosso in modo lungimirante dal “G.A.L.” Partenio. L’economia circolare si richiama a un elemento sistemico, non evocativo come si fa oggi, probabilmente anche in chiave commerciale, con l’inseguimento del cosiddetto “biologico” in quanto si rifa’ a qualcosa di progettuale. In questo senso l’economia circolare si candida a diventare un nuovo paradigma di lettura e di intervento sul territorio che non riguarda solo l’impresa in senso stretto ma la filiera dei diversi componenti dei soggetti ( istituzionali, associativi, economici e della formazione), perché si riscriva sia la dinamica produttiva ma anche l’approccio formativo intellettuale .

A queste soggettività territoriali l’uomo di scienza e della ricerca in che termini proporrebbe una metodologia di discontinuità culturale perché ci si approcci con maggiore senso di responsabilità alle sfide dell’emergente economia circolare?
“A mio avviso la parola d’ordine dovrebbe essere quella della “simbiosi” interconnettendo sia il tessuto produttivo che antropico, costituito, cioè, dalla miriade di paesi esistenti in un territorio, nel nostro caso quello appenninico meridionale. Ciò significa che l’attività industriale non vede nel cittadino un mero cliente/consumatore ma un partner . Il ruolo strategico degli enti locali è quello di favorire il dialogo fra chi fa impresa sul territorio e chi usufruisce dei beni del processo produttivo, che può essere l’uva, o qualsiasi altro prodotto della terra. Sono convinto che solo attraverso una simile corresponsabilizzazione e una intensa simbiosi i vari soggetti che animano le nostre realtà è possibile far sfumare la linea di confine tra agricoltura e società civile per protendere verso una reciproca accettazione e per scrivere un patto sociale che comporti necessariamente delle limitazioni d’azione attraverso l’introduzione di chiare regole condivise. Tali regole devono essere condivise dal basso e fatte proprie dagli amministratori locali attraverso una continuità di tavoli di confronto dove chi produce non è il potenziale inquinatore del territorio ma colui che mette a disposizione il suo agire a disposizione di esso facendo leva anche sulle competenze sulle conoscenza di chi vive nel contesto locale perché si possano indirizzare le produzioni ma anche la gestione, la logistica , la sociologia delle produzioni e del vivere civile. Non si può pensare di salvare gli ecosistemi eliminando i consumi in modo generalizzato ma far si che essi siano sempre più responsabili e sostenibili facendo applicare tale principio a chi produce, a chi usufruisce e a chi ne gestisce la fase conclusiva” .

Alla luce di tali considerazioni Lei ritiene possibile che le economie di filiera della vitivinicoltura possano in qualche modo invertire i destini di un territorio, non solo attraverso l’invocazione onirica-letteraria ma con la riscrittura di una vocazione per declinare una nuova idea di sviluppo compatibile e sostenibile?

Le dico questo perché la vicenda dell’ipotesi del biodigestore a Chianche ci dice, tra le altre cose, che non tutti sono convinti di questa scommessa oppure che essa si possa comunque realizzare attraverso la teorizzazione della coesistenza con la realizzazione sistemica e impiantistica del trattamento su scala industriale dei rifiuti. Ci sono due questioni vitali aperte per le nostre comunità della Valle del Sabato e dell’Irpinia più in generale: aperte come quelle dell’areale del Greco assunto che tutti vogliamo la provincializzazione sostenibile del ciclo integrato dei rifiuti e che richiamano il ragionamento da Lei esposto in precedenza: quella della democrazia territoriale che si contrappone al dirigismo neocentralistico regionale che “impone” con i bandi a chiamata la localizzazione impiantistica dei rifiuti e quella della certezza della “biologicità “ di tali modelli industriali che sono stati preferiti a quello della rete di compostiere di comunità di certo più funzionali e certificate. Abbiamo necessariamente bisogno di elevare il dialogo a sistema delle relazioni tra realtà territoriali e potere amministrativo ai diversi livelli istituzionali. E la realizzazione di un biodigestore, sia in una dimensione urbana o agricola o di allevamento non deve sfuggire a tale assunto. Alla fine il cittadino non deve trarne necessariamente un vantaggio che deve essere la è monetarizzazione, magari in termini di promesse di risparmio della bolletta energetica o di altri similari . Essa deve essere una scommessa di cui trae vantaggio l’intero territorio in termini di localizzazioni, dimensioni e redditività sociale, partendo dal rapporto di scala oggettivamente più confacente che è quello della diffusione dei luoghi di conferimento perché in tal modo migliora sia l’accettazione da parte della popolazione, che diventa di partecipazione responsabile in quanto direttamente coinvolta, sia la gestione di quello che viene prodotto in quanto il cittadino e l’amministratore locale possono più facilmente controllare la qualità dell’ umido conferito. Oggi la redditività deve essere un termine che deve aumentare i propri significati anche perché in tal senso vengono incontro le nuove attivazioni scientifiche come il “L.C.A. – Life Cycle Assessment” , cioè l’analisi del ciclo di vita di un bene o di un prodotto. Oggi qualsiasi progetto venga presentato all’Unione Europea dal nostro mondo della ricerca deve essere accompagnato da un “L.C.A.” , perché io devo conoscere il destino di quello che propongo dal momento in cui lo concepisco, durante la sua messa in opera, fino alla sua gestione di utilizzazione . Se dovessi rivolgere un appello agli amministratori di realtà delicate come quelle degli areali di pregio è quello di orientarsi sempre più per approcci caratterizzati dalla scientificità e a condividere le risultanze con le comunità locali e con il tessuto imprenditoriale presente e che con esse si relazionano.

Professore, credo che la sua lezione sia stata molto chiara e indicativa per capire come declinare al meglio le compatibilità ottimali delle scelte che riguardano il governo territorio sostenibile prossimo venturo e il Progetto “Embrace” va in questa direzione. Facciamo tesoro delle sue preziose considerazioni e la ringraziamo per la sua genuina disponibilità.
“Ringrazio io lei, il G.A.L. “Partenio” e la Redazione di questa testata e diamoci un appuntamento ideale per un mio presto ritorno in queste terre, come ricercatore e cittadino, perché meritano di essere conosciute e valorizzate in modo ancora più convinto e innovativo”.

Intervista a cusa di Ranieri Popoli.



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