Dalle notti del 1943 alla notte attuale

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Di Franco Festa

C’è solo un momento di straordinaria drammaticità peggiore di questo, nella storia della città. Quello seguito ai bombardamenti del 14 settembre 1943, quando tutte le autorità, in tutti i luoghi decisionali, fuggirono ed Avellino, per 15 giorni, fino all’arrivo degli alleati tra l’1 e il 2 ottobre, fu lasciata in balia dell’orrore, dei ladri, dei banditi che fecero razzia di tutto e non ebbero rispetto neppure per i cadaveri abbandonati per le strade. Quei giorni sono di eterna infamia, perché nessuno, tranne pochi volontari come il tenente medico Laudicina che era di passaggio, rimase al suo posto a soccorrere i feriti, a dare aiuto agli sbandati, a restituire alla città un aspetto civile. Avellino, oggi, si trova a un bivio simile, e non sembri azzardato il paragone. Su tutto, urge uno spirito di responsabilità, una capacità di guardare oltre i propri miseri interessi di parte, una volontà di ricostruire al più presto un tessuto politico e civile lacerato dagli accadimenti giudiziari, un impegno a fare in modo che Avellino esca al più presto, e con dignità, dalla cronaca nera di tutti i media. Non servono iene e avvoltoi pronti a nutrirsi delle altrui disgrazie, come avvenne in quelle terribili notti del 1943, non servono cantori di malaugurio, non servono becchini. Serve che tutte le forze politiche, di destra, di centro, di sinistra, diano una prova di serietà e di compostezza, siano per i cittadini delle palestre concrete di partecipazione e di democrazia, offrano un’alternativa di possibile luce civile alla notte che incombe sulla città. Non è stato così finora, prima dell’arresto di Festa. Finora sono prevalsi avvilenti spettacoli, divisioni ridicole, unità di carta straccia, in cui ognuno ha dato il peggio di sé. Basta riflettere su come si è arrivati alla candidatura di Gengaro, ancora avvolta di miserie, di riserve e di mugugni, di cui il P.D. offre ancora oggi il campionario più ridicolo, per capire il punto a cui stiamo. E Festa, qui, non c’entra. Né è migliore il quadro che offre il centrodestra, con troppi galli che razzolano e nessuna figura capace di rappresentare la sintesi di cui oggi la città ha bisogno. Sapranno tutti, ora, comprendere il compito a cui sono chiamati? Sapranno, ora, superare mediocri ragionamenti di cortile e guardare allo stato di smarrimento, di preoccupazione, di angoscia in cui la città si trova per trovare possibili soluzioni che diano non solo tranquillità, ma anche la prospettiva di un possibile diverso futuro? Siamo molto, molto scettici al riguardo. Lo spirito di responsabilità non si vende sulle bancarelle, non si acquista al mercato, si costruisce nell’esercizio concreto e quotidiano del potere, che non è clientela, non è mancia, non è promesse un tanto al chilo, ma capacità di guardare all’interesse collettivo, al bene comune. E finora nessuno ha mostrato di possedere questa dimensione pubblica. Ma spetta anche ai cittadini, ora, non essere passivi spettatori di ciò che accade. La favola è terminata, la festa è finita, tutte le luminarie sono state spente bruscamente. Non si tratta di aspettare il prossimo ”apparatore” che rimetta in moto la macchina delle illusioni, non serve un altro mago della pioggia. Serve che ognuno, in ogni luogo, qualunque sia la funzione che svolge, dia il proprio contributo alla ricostruzione di una città devastata.


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