Regionali, c’era una volta la coalizione. E quel potere che non imbarazza chi ce l’ha… – IL CIRIACO

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Il sentore si era già avuto durante l’ultima fase delle trattative prima della composizione delle liste, la sensazione è diventata quasi certezza durante la campagna elettorale (emblematica l’assenza del Pd al confronto De Mita-De Luca con la necessità del conseguente blitz riparatore in città 48 ore dopo) ed ha assunto i crismi dell’ufficialità nei giorni delle manifestazioni di chiusura: coalizioni addio, ci sono gli schieramenti. Sarà stata certo colpa del Covid che ha impedito una campagna elettorale tradizionale e sconsigliato gli incontri affollati, sarà perché le coalizioni le fanno i partiti e qui (a parte Pd, Lega e Forza Italia) proliferano movimenti e liste fai da te. E magari una certa dose di responsabilità è pure da ricercarsi nella caccia alle preferenze, nemica delle coalizioni e causa della scomposizione dei quartetti di candidati in coppie. Qualcuno obietterà che anche a livello nazionale si sta ragionando sul ritorno ad un sistema proporzionale, ma questo ovviamente non può spiegare l’assenza di un idem sentire politico che non sia quello dell’appiattimento sul leader candidato alla presidenza (fenomeno presente ovunque, in misura eccessiva nello schieramento di De Luca). La seconda considerazione che viene fuori da questo mese è quella di una campagna elettorale priva di slanci eccessivi. No, non è solo colpa dell’emergenza e delle regole da rispettare. In questo caso c’entra eccome la qualità dei candidati, alcuni assolutamente silenti e veri riempitivi di lista, catapultati spesso in qualcosa di più grande e forse di nemmeno tanto voluto. Non solo. La pletora di candidati ha praticamente reso impossibile certificare l’appartenenza politica (merce oramai rarissima) per cui non fa assolutamente meraviglia (ma è un fatto straordinariamente negativo) che in uno schieramento fin troppo variegato come quello del Governatore uscente, figurino candidati che fino a qualche tempo prima si facevano immortalare abbracciati a Salvini. Ma tant’è, questo è solo un aspetto del problema, l’altro, quello più grave, è il vuoto cosmico di tante proposte o pseudo-tali che speriamo di dimenticare in fretta.

Un’ultima annotazione merita la polemica apertasi a seguito del post che l’ex ministro Gianfranco Rotondi ha dedicato al titolare della Farnesina Luigi Di Maio ed al seguito di auto blu che lo ha accompagnato nella sua visita in Irpinia. Nulla da obiettare sul servizio di scorta ad un componente del governo (ma qualche voce dal sen fuggita parla anche di semplici parlamentari scesi da ammiraglie scure e lussuose), piuttosto la riflessione che questa vicenda induce a fare è quella sull’uso del potere. Nel suo post Rotondi ha descritto, in maniera più sottile, ciò che Marco Follini nel suo libro sulla Dc e Ciriaco De Mita nei suoi interventi dicono più direttamente: chi fa politica considera il potere una conseguenza o un corollario della conquista delle postazioni di governo, una cosa che si è quasi costretti ad utilizzare, ma senza mai doverlo ostentare. Chi invece è privo di un qualsiasi retroterra politico, e non vale solo per i Cinque Stelle, quel potere lo ostenta, fa vedere che lo possiede e non disdegna di usarlo anche in maniera plateale e arrogante: vale per il parlamento come per il governo di una città. E’ questo è il primo passo per rendere la politica qualcosa di marcio, fino alle fondamenta, spalancando le porte ai populisti in un deleterio circolo vizioso.



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