Paura dei buchi: che cos’è la tripofobia: sintomi, cause, cure

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La paura irrazionale dei buchi può condizionare pesantemente la vita di chi ne soffre, comportando diverse conseguenze sul piano lavorativo, scolastico e sociale

Una comune spugna da bagno, un vestito a pois o un formaggio svizzero potrebbero mandare nel panico chi soffre di tripofobia, la particolare fobia di alcuni pattern ripetitivi dove si prova disagio di fronte a ciò che presenta piccole figure geometriche ravvicinate, come cerchi, puntini o esagoni.

«La forma più frequente di tripofobia è quella che riguarda la pelle, in cui a disturbare è la visione di buchi, dossi o noduli raggruppati sulla cute», racconta la dottoressa Tiziana Corteccioni, specialista in Psichiatria e psicoterapeuta a Roma e Perugia. «La particolare relazione con la dermatologia deriva dalla frequente presenza di irregolarità cutanee in numerose malattie della pelle, che causano disagio, imbarazzo e isolamento sociale».

Cos’è la tripofobia

Coniato nel 2005 (unendo le due parole greche “trýpa”, cioè buco, e “phóbos”, paura), il termine tripofobia è apparso per la prima volta nella letteratura scientifica solo nel 2013, quando i ricercatori inglesi Geoff Cole e Arnold Wilkins hanno descritto questo disturbo psicologico.

«Di solito esordisce nel corso dell’adolescenza, quando i “complessi” sono più frequenti: in quel periodo, i ragazzi sono ossessionati dall’aspetto, temono di non piacere e si confrontano inevitabilmente con i loro coetanei», descrive la dottoressa Corteccioni. «In quella fase così delicata, presentare una pelle disomogenea rappresenta un disagio importante e può diventare una vera e propria fissazione». Se poi qualcuno fa notare il problema, la situazione peggiora ulteriormente.

Quali sono le cause della tripofobia

«Come la maggior parte delle fobie, anche questa potrebbe derivare da un trauma infantile o adolescenziale che ha contribuito a creare un condizionamento psicologico», afferma la dottoressa Corteccioni.

Per esempio, molti animali potenzialmente pericolosi (o che creano ribrezzo) hanno una caratteristica geometrica nel loro aspetto, come la pelle a squame, a chiazze o dai colori con un forte contrasto. È il caso di serpenti, ragni, api, vespe, rane velenose e così via.

«Magari essere stati punti da un imenottero da bambini potrebbe rappresentare un ricordo così spaventoso da scatenare il panico alla vista di qualcosa che ricorda l’aspetto del vecchio nemico», spiega l’esperta. «In altri casi, invece, le cicatrici dell’acne, i pomfi dei brufoli o altre irregolarità della pelle sono una tale fissazione per la persona che qualunque pattern geometrico ripetitivo glieli riportano alla mente, scatenando la fobia».


Quali sono i sintomi della tripofobia 

La tripofobia è accompagnata dai classici sintomi neurovegetativi tipici delle paure intense e irrazionali, come l’accelerazione del battito cardiaco, la sudorazione, il tremore, l’irrequietezza e addirittura la nausea. Talvolta, questa sintomatologia può arrivare a interferire pesantemente con la normale vita quotidiana, perché i tripofobici adottano spesso dei comportamenti di evitamento, rinunciando ad andare in certi luoghi, isolandosi dagli amici o respingendo alcuni cibi (come le fragole, che hanno un aspetto poroso).

«Pur non essendo ancora stata inserita nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, il manuale di riferimento per i professionisti della salute mentale, la tripofobia può essere valutata tramite un apposito questionario, detto Trypophobia questionnaire, che serve ad analizzare i principali sintomi della tripofobia, ma è soprattutto l’anamnesi del paziente a guidare lo specialista nella diagnosi», evidenzia l’esperta.


Come si cura la tripofobia 

Se la tripofobia diventa una condizione difficile da gestire, è importante rivolgersi a uno psichiatra psicoterapeuta per trovare la soluzione più adeguata.

Una strategia di cura molto efficace è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, un tipo di approccio – offerto da alcuni psicologi, psichiatri o medici non specialisti formati e abilitati alla psicoterapia – che, attraverso sedute settimanali (per un periodo di almeno 12 mesi), si propone di spezzare i circoli viziosi della tripofobia.

L’obiettivo è modificare quei processi di pensiero che portano a un’elaborazione parziale della realtà, imparando a distinguere le reali sensazioni di pericolo da quelle immaginarie, a capire quando si sta esagerando con la paura, a costruire una nuova immagine di sé, meno vulnerabile. Talvolta, invece, può essere necessaria una terapia farmacologica per ridurre l’ansia associata alla tripofobia.

Un libro in uscita

Proprio sul tema degli psicofarmaci, esce il 10 maggio 2024 il libro della dottoressa Tiziana Corteccioni Ho bisogno di una pillola? (Antonio Vallardi Editore), in cui l’autrice aiuta a fare chiarezza sugli psicofarmaci: quando è necessario assumerli e quando no, quali i rischi del fai-da-te nella diagnosi e nella cura, quali sono i falsi miti.

«Se non esitiamo a mettere il gesso quando ci fratturiamo una gamba o a prendere un antipiretico per far scendere la febbre, perché siamo tanto restii ad assumere farmaci per trattare un disturbo mentale?», si domanda la dottoressa Corteccioni, che ci accompagna in un percorso di normalizzazione della cura mentale.

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