L’Irpinia e le bombe del ’43, tra ricordi e testimonianze il no deciso a ogni guerra

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Rivivono attraverso testimonianze e racconti, lettere e pagine di diario i bombardamenti del settembre ’43 che colpirono con furia anche l’Irpinia. L’occasione è offerta dal  convegno promosso da “Insieme per Avellino e l’Irpinia” “Settembre 1943, ottanta anni dopo l’Irpinia non dimentica”, tenutosi questo pomeriggio, al Circolo della stampa. E’ Marina Villani di “Insieme per Avellino” a ricostruire la triste vicenda degli Imi, i soldati italiani fatti prigionieri nei lager all’indomani dell’armistizio, costretti a lavorare nelle industrie tedesche, a patire il freddo e la fame, ritrovatisi all’improvviso senza una guida ma decisi a restare fedeli alla patria e a non combattere al fianco dei tedeschi. “Come quella di mio zio Vincenzo Villani, morto a 21 anni in un lager nazista, durante un bombardamento. Fu una vera forma di resistenza, giusto dunque che sia stato riconosciuto a questi soldati una medaglia d’onore come accaduto con Salvatore Troiano”. Quindi rievoca il terribile bombardamento del 14 settembre che causò tremila vittime “L’obiettivo era colpire il ponte della Ferriera così da bloccare la fuga dei tedeschi ma il ponte rimase in piedi, le bombe devastarono piazza del Popolo, Corso Vittorio Emanuele, causando danni al 50% del patrimonio edilizio”. E’ quindi Carmine Cioppa a ricordare le storie di tanti eroi comuni che pure furono protagonisti degli anni della guerra come Teresa, l’attendente della madre che salvò la vita alla sorellina più piccola e si prese cura di lei durante la fuga. E’ quindi Ottaviano De Biase a ricostruire il “Caso Santa Lucia”, a partire dai bombardamenti che colpirono il centro irpino “Ad essere sotto attacco il ponteche collegava Serino a Santa Lucia e il ponte che collegava a San Biagio. In tanti si rifugiarono sotto la galleria Avellino Solofra o nei boschi con i tedeschi in ritirata che non esitavano a fare razzie. Due gli aerei che caddero, uno nell’area di Volturara e l’altro nel serinese, due testimoni riferiscono che cercarono inutilmente di salvare la vita ai piloti inglesi rimasti feriti. Preziose anche le parole delle Clarisse che hanno raccontato la sofferenza della popolazione e la gioia di poter tornare al Convento. E la comunità volle ringraziare Dio per il passato pericolo proprio con una messa presso la chiesa della Madonna del Carmine”.

E’ quindi il giornalista Gianluca Amatucci a ricordare il contributo offerto alla ricostruzione della memoria del territorio da figure come quelle di Andrea Massaro e Armando Montefusco e consegna di storie di uomini e donne che non risultato nell’elenco delle vittime del bombardamento ma pagarono un prezzo altissimo, come il calzolaio Domenico Candelmo, colpito dalle bombe, che si spense però il 28 dicembre del 1943  e Rosa Zeccardo a cui gli effetti delle bombe causarono gravi problemi di deambulazione. E’ quindi la dirigente Mirella Napodano a ripercorrere la guerra attraverso un toccante epistolario da cui nasce il suo libro “Ma l’amore no”.

Un libro che nasce, spiega Napodano, dalla necessità di “non dimenticare, di trasmettere storie che altrimenti andrebbero perdute. Mio padre combatteva dalla parte sbagliata, vittima della propaganda del regime come tanti giovani che sacrificarono la propria vita per la patria. Quest’incontro diventa l’occasione per ribadire l’orrore e l’assurdità di qualsiasi guerra”. Saranno le speranze accese dalla propaganda fascista a condurre Carmine al fronte in Africa. Raggiungerà Yefren e sarà destinato al 60° Battaglione Mitraglieri nella regione libica della Tripolitania. Spiega come “Persino mio padre aveva cominciato a nutrire dei dubbi sulla legittimità della guerra in Africa ma è difficile trovarne traccia nelle lettere, erano rigorosamente passate al vaglio della censura, come dimostra anche quel ‘Vinceremo’ che chiude ogni epistola. Solo in una lettera consegnata a mano alla mamma emerge il suo vero stato d’animo. Nemmeno alle proprie famiglie i soldati potevano esprimere le proprie emozioni, il rischio era che quelle lettere fossero cestinate e non arrivassero mai a destinazione. Questa considerazione ci restituisce il senso della solitudine di quei giovani soldati”. Di qui l’impegno attraverso progettualità che educhino alla pace come quella promossa dai Lions

Toccante la testimonianza del professore Pellegrino Caruso che consegna una pagina di storia familiare, quella raccontata più volte dalla mamma Lucia Caruso, “Sentiva di essere uscita indenne dai bombardamenti grazie ad un quadro della Vergine di Pompei, che era stato tra le mani di Bartolo Longo e che continuiamo a custodire con devozione in famiglia. Un racconto di cui solo crescendo ho compreso il valore altissimo, soprattutto di fronte alle guerre che ancora imperversano”. E’ quindi Pasquale Luca Nacca  di Insieme per Avellino a soffermarsi sul valore della storia per restituire un futuro a questa città. A concludere il dibattito Antonio Galetta, presidente Anpi Forino per ribadire l’assurdità di ogni guerra  e il docente Mariano Nigro, a cui spetta il compito di ricostruire l’opera di padre Carmelo Giugliano a favore degli avellinesi nel 1943.


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