«La forza e l’orgoglio degli irpini mi dettero la forza: una lezione che non dimentico» – IL CIRIACO

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«La prima reazione, quella più naturale, fu il pianto. Ma quando vidi le persone del posto, che avevano perso la casa e subito lutti, asciugarsi le lacrime e rimboccarsi le maniche, trovai la forza per iniziare a costruire le prime casette di legno con gli altri volontari. L’esperienza a Paternopoli è stata per me una lezione, mi ha insegnato a dare il giusto valore alle cose nella vita e nel lavoro».

Sono le parole di Carlo Salvicchi, uno degli angeli del terremoto, uno dei tantissimi giovani corsi in Irpinia da ogni parte di Italia per aiutare la popolazione devastata dal sisma. Salvicchi arrivò da Cortona, città etrusca della provincia di Arezzo, unita indissolubilmente al comune di Paternopoli dal filo rosso della solidarietà e del volontariato. Un gemellaggio istituzionalizzato il cui significato profondo, a quarant’anni di distanza dal sisma, resta indelebile nella memoria dei protagonisti. Salvicchi, all’epoca giovane studente universitario, fu tra i volontari che si avventurarono in quei paesi rimasti isolati più a lungo di altri perché colpiti meno gravemente dal sisma, non senza però aver subito morti, feriti, danni.

Come ebbe inizio il suo viaggio verso l’Irpinia terremotata?

«La Regione Toscana organizzò subito l’invio di volontari nelle zone colpite dal sisma. La prima carovana di aiuti venne convogliata al casello di Grottaminarda. Qui, non senza difficoltà, arrivò qualcuno da Paternopoli ed intercettò i camion provenienti da Cortona riuscendo a portarli nel suo paese. Di quella colonna faceva parte mio padre. Lui era il provveditore economo dell’Asl e portava medicinali, attrezzature mediche e sanitarie insieme al sindaco dell’epoca Ferruccio Fabilli. Dopo qualche settimana venni giù anche io per costruire piccole abitazioni in legno. Partii con personale tecnico del Comune di Cortona, quindi idraulici, falegnami, muratori. Costruimmo nel giro di qualche giorno una serie di rifugi provvisori che, in una prima fase, furono molto utili per quanti avevano perso la casa e non avevano un posto dove andare. Avevo vent’anni, ero studente universitario a Roma e fui coinvolto dall’amministrazione comunale della mia città per questa avventura. Accettai ben volentieri perché in precedenza avevo fatto parte degli scout quindi avevo un minimo di esperienza nel campo del volontariato, ma nulla di paragonabile all’Irpinia che resta una delle peggiori tragedie del Paese. Poi ritornai una seconda volta, nell’81, perché l’amministrazione comunale volle i volontari di Cortona in occasione del primo anniversario del terremoto. Anche quelli furono giorni molto toccanti».

Ricorda quale fu la prima reazione che ebbe una volta arrivato a Paternopoli?

«Il pianto. Paternopoli era molto diversa da Cortona, ma come la mia città si trovava in collina, bisognava salire dal basso per arrivare in paese. Ed automaticamente, nel vedere quelle scene di devastazione, pensavo cosa fosse accaduto alla mia città se il sisma l’avesse colpita. Ricordo che per arrivare al centro del paese attraversammo le contrade rurali, erano piene di casette sparse e tutte distrutte. Immagini indelebili. Dormimmo nel primo modulo che riuscimmo a costruire, faceva molto freddo. Ma la sera arrivava da noi gente del posto che ci portava vino, pane, bistecche. Era commovente vedere quelle persone, colpite da un dramma inimmaginabile, privarsi di qualcosa per darlo a noi che eravamo arrivati per dare una mano. Alla fine, in qualche modo, ci aiutavamo e sostenevamo a vicenda».

Che ricordo conserva delle relazioni umane costruite in quei giorni?

«Quando qualche volta ho sentito dire o letto che in Irpinia non c’è stata una ricostruzione veloce perché la gente non si è data da fare, e mi viene da ridere. Non entro nel merito delle scelte politiche compiute sulla ricostruzione, ma per quanto riguarda gli abitanti di quei paesi posso dire che sono fandonie. Ho visto persone che avevano perso affetti, che avevano parenti e amici in ospedale, che avevano visto le proprie case, costruite con i sacrifici di una vita, sgretolate a terra sotto le macerie, ma che nonostante tutto questo erano le prime a rimboccarsi le maniche. Loro non volevano una parola di conforto, che pure era importante in quei momenti, loro volevano ripartire e furono protagonisti del loro destino. Una lezione indimenticabile».

A quarant’anni di distanza, cosa le resta di quella forte esperienza di volontariato?

«Dopo la laurea ho fatto tante cose. Ho fatto il giornalista, sono ancora iscritto all’albo anche se non pratico più la professione, ho avuto anche un’esperienza politica al Comune di Cortona, ho lavorato nel terzo settore e da dodici anni sono nella Confcommercio di Arezzo. In tutte le mie attività quell’esperienza da volontario nell’Irpinia terremotata mi ha aiutato tantissimo. Mi ha insegnato a vedere e valutare le cose dal giunto punto di vista. Ho compreso il valore delle cose realmente importanti e quelle che invece appaiono tali ma in realtà non lo sono. E’ stata un’esperienza formativa importante, direi decisiva. Mi spiace solo che nel corso del tempo si sono un po’ persi i contatti con gli altri volontari e con le persone di Paternopoli. Molti della colonna di Cortona avevano già una certa età, tanti di quei volontari sono morti così come molti di quelli che avevo conosciuto in Irpinia.  Ma posso affermare senza alcuna retorica che Paternopoli mi è rimasto sempre nel cuore, un ricordo perenne, preciso, puntuale. Una memoria fotografica che non ti lascia più. Non sarebbe male, una volta terminata quest’altra sciagura nazionale del Covid, ritornare in Irpinia e ricreare un momento di condivisione tra Cortona e Paternopoli, affinché non si perda la memoria di quella che, seppur nella tragedia, resta una pagina importante di solidarietà nazionale».

(la foto del pezzo è tratta dal sito www.paternopolionline.it  Lo scatto realizzato dal professore Felice Lo Vuolo fa parte della mostra fotografica allestita in occasione del XXV anniversario del sisma e rappresenta un particolare dell’altare della Chiesa Madre danneggiato dal sisma)



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