Il disegno impazzito | Corriere dell’Irpinia

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Di Franco Festa

Un’imprecazione di Sinistra Italiana è stata trovata in bocca a un cane, che correva nell’abbandono della Dogana. Un passaggio appassionato del documento di APP si è sperduto nella fila degli immigrati davanti alla Questura, in attesa di un permesso di soggiorno. Uno schizzo della benedizione di Boccia e Gubitosa ha centrato una casalinga mentre faceva la spesa con i pochi soldi della pensione. Una medaglia sul petto di Controvento è stata svenduta in un negozio di Vendo oro. Le lacrime di rabbia del PD di Petracca hanno inondato una donna di passaggio, che correva per sottrarsi alle minacce del marito. Una protesta araba di Nicola Giordano si è persa nei corridoi della Procura, una maledizione in egiziano di Iacovacci è stata investita sulle strisce a Corso Europa. Così il povero Gengaro, nominato candidato del campo largo, nato da un travaglio complicato (l’avviso di doglie a Napoli, i primi centimetri di dilatazione a Roma e l’uscita alla luce ad Avellino, ma con parto cesareo), è costretto a correre qua e là per la città, per ricomporre il disegno impazzito di un campo solo a parole progressista, per ricucire i pezzi di un’alleanza nata a male, per riordinare in un’immagine dignitosa un puzzle fatto solo di pezzi neri. Sa che ovunque si annidano resistenti e renitenti, ovunque tramano disobbedienti e recalcitranti. Ma, girando per le strade, il candidato scopre che i contendenti che lo hanno voluto e quelli che si sono opposti sono poca cosa, che la città è altrove, altrove i suoi problemi, le sue speranze, i suoi sogni, e che, oltre le figurine che si agitano sul palcoscenico della politica e che si illudono di rappresentare l’universo intero, pulsa un mondo reale che nessuno rappresenta, per il quale tutto ciò che viene dagli apparati dei partiti è comunque avvilente, è solo un fastidio o un rumore incomprensibile. E il mite Antonio capisce che di lì deve ripartire, da un ascolto umile e premuroso strada per strada, quartiere per quartiere. Può anche fare dell’amato Di Nunno la sua stella polare, ma sapendo che oggi la città è cambiata, svilita da anni di malgoverno, abbacinata dai fuochi di artificio di Festa, desiderosa di novità ma anche delle vecchie protezioni che nessuno può garantire, delle vecchie pratiche clientelari a cui non solo bisogna dire no ma indicare anche un modo diverso di essere cittadini. E ha ragione Gengaro quando dice che gli tremano i polsi e le vene di fronte al compito immane di fronte. Nel frattempo stia attento, attento a quelli che alla luce applaudono e mandano baci e nell’ombra più cupa tramano contro di lui, pronti ad allearsi con i suoi nemici: sono loro i più abietti, i più vili, i peggiori.


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