Il commento – Rivoluzione biancoverde, ma era lecito aspettarsi di più

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La sessione estiva di calciomercato è stata per l’Avellino lunga, intensa, colma di ostacoli. Un cammino partito addirittura quasi due mesi prima dell’apertura ufficiale, in quella istintiva e confusionaria conferenza stampa della società post-eliminazione con il Foggia. Un attacco frontale a tutta la rosa, un invito al “repulisti” che ha finito per rappresentare un vero e proprio autogol.

Mettere alla porta quasi tutto l’organico, a causa di contratti lunghi e remunerativi, figli della precedente gestione tecnica, si è infatti rivelato più complicato del previsto. Mediare, trovare un punto d’incontro o anche banalmente società pronte a farsi carico di quegli ingaggi, non è stato semplice. C’è stato bisogno di tempo, diplomazia, di attesa, affinché tutti gli incastri andassero al loro posto. Nel frattempo, però, è iniziato il ritiro, in cui Taurino e l’ambiente intero si sono ritrovati a fare i conti con la presenza di veri e propri “fantasmi”, ossia giocatori già tagliati fuori dal progetto ma formalmente ancora in biancoverde.

Tutto ciò ha creato inevitabilmente malumori, per tutte le parti in causa. Per lo staff tecnico, per i calciatori stessi e per il tifo, che ha contestato sin da subito la gestione della vicenda. Questo contesto ha alimentato le pressioni e generato ulteriori aspettative sul nuovo assetto che l’Avellino intendeva darsi. Un’ossatura sviluppata inizialmente sui giovani e su determinate conferme, salvo poi fare retromarcia su alcuni (Bove, Dossena, anche Kanoute ha rischiato) a causa delle vicende contrattuali. Questo ha determinato un ulteriore rimescolamento, specie per il settore difensivo, che ha spinto il diesse De Vito a concludere più operazioni di quelle immaginate inizialmente.

Tra una difficoltà e l’altra, con l’uscita della maggior parte degli esuberi, l’Avellino ha potuto poi inserire nel motore anche qualche giocatore più rodato, ossia quei calciatori che rappresenteranno il fulcro centrale del nuovo lupo. È il caso, nello specifico, di Aya e Illanes per la difesa, di Casarini e Dall’Oglio per il centrocampo e di Ceccarelli per l’attacco. Tutta gente arrivata per sostituire i precedenti titolari o scambiata – come nel caso di Ceccarelli e Illanes – con elementi in uscita.

Sistemata la questione “esperienza”, si è lasciata per ultima la situazione più delicata: quella del bomber. Alcune settimane fa avevamo già mosso una critica alla costruzione del reparto offensivo biancoverde, fatto di gente poco abituata a timbrare il cartellino. Ecco, oggi che il mercato è chiuso, la sensazione è che non ci si sia discostati molto da allora. Il motivo? Ancora una volta la gestione degli esuberi, stavolta principalmente per le tempistiche. Maniero e Bernardotto sono rimasti sul groppone letteralmente fino all’ultimo giorno, indirizzando così le decisioni dell’Avellino, che si è ritrovato nella scomoda posizione di non poter scegliere con la massima libertà. L’idea di regalare alla piazza un grande bomber, più volte manifestata pubblicamente dalla dirigenza, è così lentamente naufragata.

Non ce ne vogliano Gambale e Trotta, sui quali esprimeremo a breve il nostro “giudizio”, ma per premesse e ambizioni era lecito aspettarsi qualcosa di più. Una piazza desiderosa di tentare il salto in B necessitava di un attaccante da 15-20 gol “sicuri”: un elemento esperto e integro, capace anche di infiammare l’entusiasmo della piazza. Ad oggi né Gambale né Trotta sembrano offrire quelle garanzie. Il primo è un giovane, una scommessa potenzialmente intrigante ma pur sempre una scommessa, chiamato alla sua prima esperienza in una big a 24 anni, dopo un solo anno di apprendistato in C. Il secondo ad oggi evoca piacevoli sensazioni soprattutto per il suo passato, assolutamente esaltante, ma così opaco nel confronto con le ultime annate. Trotta ad Avellino è stato un grandissimo centravanti, sicuramente tra i più completi del nuovo millennio, ma oggi non può essere una certezza. L’augurio è che torni ad esserlo, ovviamente, ma allo stato attuale – anche per come è maturato il suo ritorno, da svincolato, all’ultimo giorno di mercato – sembra più un ripiego dal sapore agrodolce, di quello che generano i ritorni densi di malinconia e nostalgia.

Il mercato che si è concluso ha segnato una vera e propria rivoluzione in casa biancoverde. Le analisi e i giudizi passeranno ora in secondo piano, con il campo che darà il suo verdetto, quello più puro e autentico. Ma dovendo esprimere un parere, la sensazione è che si potesse fare di più, o almeno era lecito aspettarsi di più. Per la voglia di riscatto, per il blasone e anche per le ambizioni che la piazza e la società hanno sempre fatto intendere di avere. Ambizioni rispetto alle quali, sulla carta, si è fatto un passo indietro.



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