Giustizia e dintorni, riforme: è arrivato il momento della magistratura

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di Gerardo Di Martino

Tocca alla magistratura. La prossima settimana dovrebbero giungere sul tavolo del Consiglio dei Ministri i due dossier più scottanti.

Non fosse altro perché riguardano la Giustizia, l’assetto ordinamentale della magistratura e l’elezione dei componenti togati nel suo organo di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), per l’appunto.

Il Premier è cauto. Sa bene che i temi sono caldi e che una loro discussione ora, significherebbe approcciare le elezioni europee con l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) – ossia il plenipotenziario, il muscoloso e, allo stesso tempo, potentissimo sindacato delle toghe – sulle barricate.

Ma da più parti della stessa maggioranza, l’opinione è esattamente contraria. E per ciò, si prevede o si spera, che nelle prossime settimane facciano capolino a Palazzo Chigi entrambi i disegni di legge, da approvare ed inviare alle Camere.

Che significa praticamente?

Che ci sarebbe la volontà di pervenire alla separazione tra chi giudica e chi accusa, dal punto di vista ordinamentale. Due concorsi e due CSM separati, con impossibilità di passare dall’una all’altra ed obbligo di scelta a monte, tra la carriera di pubblico ministero e quella di giudice.

Mentre, sull’altro fronte, per le regole di elezione dei membri togati del CSM, si passerebbe al cd. sorteggio temperato: prima “l’urna cieca” tra i magistrati che si rendono disponibili; poi il turno elettorale tra i sorteggiati.

Ve lo dico senza peli sulla penna: per quanto il testo incroci il placet dell’avvocatura, la prima è solo una mezza riforma, fumo negli occhi per tutti.

Anche da queste pagine difatti, ho sempre sostenuto l’inutilità ovvero l’incapacità di perseguire lo scopo da parte di un simile riordino: per come pensata non sarebbe certo una separazione delle carriere, in quanto differenzierebbe soltanto le funzioni, ossia l’accusa ed il giudizio, lasciando assolutamente inalterato tutto il resto.

Se il fine è quello di evitare che l’arbitro tifi o giochi con una delle due squadre in campo, lo si raggiunge solo separando veramente le carriere, ossia portando fuori dalla medesima magistratura il pubblico ministero ed ivi lasciando soltanto il giudice.

Quante volte oggi, non di meno gli addetti ai lavori, definiscono giudici quelli che accusano? Beh, separando soltanto le funzioni lo si continuerebbe a fare. Non cambierebbe proprio nulla.

E non mi si dica che in questo modo, cioè separando realmente le carriere, verrebbe meno l’autonomia e/o l’indipendenza dell’accusatore dalla politica o dalla stessa società.

In Francia il pm è organo dell’Esecutivo eppure un ministro della giustizia, il signor Dupont-Moretti, è stato messo sotto processo. Negli Stati Uniti d’America, patria del rito accusatorio e della (vera) separazione della carriere, il Procuratore della Repubblica non solo è promanazione diretta del Governo ma addirittura, in molti Stati, è eletto dal popolo. Eppure alla sbarra ci è finito, in molteplici processi e davanti a diverse Corti (federali e statali), un ex Presidente, oggi scelto per la ricandidatura, come Donald Trump.

Né in tutti gli altri Paesi ove l’Accusa è estranea all’Ordine della magistratura, come la Spagna piuttosto che il Regno Unito, capita che qualcuno gridi allo scandalo, che siano deferiti alla Corte dei Diritti dell’Uomo, che sia calpestato lo Stato di diritto o che gli stessi magistrati ritengano di non essere garantiti nella loro autonomia e/o indipendenza.

È solo una questione di propositi, ci dobbiamo intendere sul fine di una così rilevante funzione: lo Stato nasce per far sprigionare la propria autorità nei confronti di chicchessia o per garantire diritti, libertà, e dunque la stessa vita di noi cittadini, dalla sua inarrivabile, ineguagliabile forza?

Né possiamo continuare a prenderci in giro, con teorie attecchite nell’etica e nella morale, con falsi miti di civiltà giuridica che servono, per lo più, a trasfigurare la verità e conservare pezzi di potere.

Come, d’altra parte, ho sempre sostenuto che la vera riforma del CSM consista proprio in quella che il Governo vorrebbe adottare: nel sorteggio temperato, ossia l’unico vero rimedio contro lo strapotere delle correnti sindacali che fanno capo all’ANM (l’Associazione Nazionale Magistrati) e che gestiscono vite e carriere.

Se tutti i magistrati sono uguali davanti alla Legge per definizione, fanno la stessa carriera, progrediscono allo stesso modo, avanzano con le medesime modalità, mi sono sempre chiesto, come si fa a scegliere un Capo tra eguali? Ossia uno, tra pari, che abbia spiccate doti dirigenziali e che riesca a governare un Ufficio Giudiziario, dal più piccolo al più grande?

Ci sarà un altro criterio, invero, invisibile a me, e ai più, pensavo.

Spezziamolo allora, eliminiamolo, demoliamolo. Come? Affidando alla sorte la prima scrematura, effettuando cioè un primo sorteggio tra tutti i magistrati che ritengono di poter ricoprire quell’incarico, per poi votare tra i sorteggiati. La Costituzione è salva. Pure l’autodeterminazione e l’indipendenza dei singoli.

D’altro canto la Giustizia, da sempre, non è cieca?


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