Basket, a Cremona il Club Italia. Mangone: “prima la persona, poi il giocatore” – IL CIRIACO

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Che la pallacanestro nostrana sia in un momento non florido è evidente. Altrettanto lapalissiano è che l’emergenza legata al Covid-19 ha posto le condizioni per una ristrutturazione del sistema basket in Italia, aprendo a ragionamenti sulla struttura dei vari campionati e, soprattutto, dei settori giovanili. Tuttavia c’è chi si è mosso in anticipo e ha iniziato a lavorare in maniera scientifica sul proprio modello societario e sul settore giovanile già da tempo ed oggi, in un momento in cui la maggior parte dei club sta pensando a come approcciarsi al futuro, si propone come Club Italia: si tratta di Cremona, società stabilmente in massima serie da qualche anno e guidata dal ct della Nazionale Meo Sacchetti.

Cremona ha implementato il suo settore giovanile, ha iniziato a fare reclutamento anche a livello internazionale ed è pronta ad entrare nel terzo anno dello sviluppo del proprio progetto, a prescindere dall’idea di creare o meno una nazionale sperimentale.

Dietro questo lavoro, tra gli altri, c’è Giuseppe Mangone, responsabile del settore giovanile della Vanoli. Per capire come la società Lombarda si sia mossa e se il suo sia o meno un esempio da seguire, lo abbiamo intercettato e abbiamo a lungo discusso di argomenti importanti come l’istruzione dei ragazzi e la formazione degli atleti. 

Quale è il tuo ruolo a Cremona?

“Sono Responsabile del settore giovanile e alleno un gruppo, quest’anno gli under 15. Sono anche il coach development player della prima squadra. Diciamo che sono diviso tra più mansioni: riesco così ad abbracciare sia tutto il settore giovanile che ad essere a contatto con la prima squadra.

Come funziona il vostro settore giovanile?

Abbiamo iniziato un progetto che dovrebbe iniziare, appena possibile, il suo terzo anno. Siamo contenti di molte cose, tra queste anche e soprattutto della foresteria, che raggruppa 10 ragazzi il cui reclutamento è stato sia Nazionale che Internazionale. Abbiamo diviso la foresteria in due sezioni, quella che potremmo definire dei grandi, con gli under 18 e la prima squadra, e quella dove ci sono i ragazzi del 2005 che hanno cominciato quest’anno sia il percorso delle scuole superiori che l’esperienza con la pallacanestro lontana da casa. I ragazzi sono molto seguiti e hanno due tutor, uno per la quotidianità che cerca di insegnargli le piccole cose della vita come fare il bucato e cucinare, e poi uno scolastico che, però, non gli impartisce solo e unicamente lezioni, ma prova a dargli un metodo. Tra l’altro di questo si occupa la moglie di coach Sacchetti che ha deciso di darci una mano. La foresteria ci aiuta ad alzare il livello sia tecnico che competitivo, perché anche i ragazzi locali sono più motivati a dare di più. Altra cosa molto importante è quella di finire il nostro percorso non solo con l’under 18, ma avere uno step intermedio in Serie C Gold. Collaboriamo infatti con la Sansebasket, una società di Cremona con la quale collaboriamo in tutto e per tutto, che accoglie i nostri under 18 e, mixandoli con pochi senior, gli permette di rapportarsi con un campionato molto difficile e competitivo. Questo ci permette di fargli avere una parte di esperienza che gli servirà per prendere la propria strada, che sia da professionista o con Cremona in prima squadra. Con la SanseBasket, comunque, collaboriamo per tutto il percorso sportivo dei giovani, fino a culminare nell’approdo in serie C Gold dove giocano con le loro casacche e sul loro campo di gioco. È una collaborazione totale.”

E invece dal punto di vista tecnico, come lavorate con questi ragazzi? C’è qualche metodologia particolare?

“L’idea è quella di lavorare dall’inizio alla fine sullo sviluppo delle abilità. Cerchiamo di mettere sempre in primo piano lo sviluppo delle skills dei ragazzi, curando palleggio, passaggi, tiri, anche a scapito dell’allenamento di squadra. Facciamo allenamenti prima delle lezioni la mattina presto, poi subito dopo la scuola e infine il pomeriggio. Gli allenamenti sono spesso individuali, ma anche quelli di squadra sono, come li chiamiamo noi, modulari: formiamo tanti piccoli gruppi di 3 o 4 ragazzi dove si lavora sui fondamentali. Tutto questo è sempre abbinato ad un lavoro sul fisico, quindi ci sono sempre preparatori fisici con noi in campo. La nostra filosofia è che Tutti fanno Tutto, ovvero i nostri lunghi vengono allenati sia da interni che da esterni, e viceversa per le guardie. Cerchiamo di farli diventare quanto più versatili possibile”

Quindi possiamo dire che quella che offrite ai ragazzi è un’esperienza completa, che li formi in campo e li renda anche adulti

“Le famiglie ce li affidano non come giocatori ma come bambini. Per questo noi cerchiamo di completare la formazione non solo in campo ma anche al di fuori. Siamo consapevoli che non tutti arriveranno ad alto livello e quindi devono prima di tutto essere delle ottime persone”.

In questi giorni si sta parlando tanto di riforme nel basket nazionale e tra gli argomenti più gettonati c’è sempre il settore giovanile. Il modello di Cremona è qualcosa dal quale prendere spunto?

“Avere i ragazzi della giovanile che giocano anche in un campionato senior non è certo una cosa di nostra invenzione dato che ci sono anche altre società che lo fanno. Io vedo tanti aspetti utili perché i ragazzi si confrontano con un mondo che ha tante similarità, come la tattica, con quello al quale aspirano. Io ci vedo dell’utilità. Se dovessero esserci dei cambiamenti nei campionati, si valuterà se questo può rimanere o meno un percorso valido. Quello che so è che abbiamo tirato fuori tantissimo dai nostri ragazzi perché avere senior giusti li aiuta ad avere altri coach in campo. Siamo infatti passati da un anno in cui abbiamo vinto pochissime partite ad essere secondi quest’anno prima della sospensione. Questo è solo frutto degli errori per i quali i ragazzi sono dovuti passare. Non ci saremmo mai arrivati che l’anno prima i ragazzi non avessero giocato, sbagliato e perso, aspetto che noi del settore giovanile spesso dimentichiamo: la conoscenza dell’errore è una cosa dalla quale non possiamo prescindere se vogliamo che il giocatore si formi e poi cresca”.

Il modello della foresteria può essere un’occasione per cambiare il paradigma per il quale, in Italia, se si sceglie la via dello sport si deve quasi sicuramente arrendersi dal punto di vista della didattica?

“Può assolutamente esserlo. Il percorso scolastico e la crescita sportiva devono marciare parallelamente. Anzi direi che si fanno forza a vicenda perché lo sport di squadra tende a dare disciplina e regole. Questo dovrebbe facilitare il giovane a fare tutto quello che viene dopo. Per noi sono studenti che fanno un’esperienza di pallacanestro ad alto livello, ma sempre studenti. Chiaramente c’è bisogno che il ragazzo si renda conto che deve fare scelte e rinunce, ma non dal punto di vista didattico, quanto sul tempo. Quello va investito tra studio e allenamenti, ce ne è un po’ meno per le attività ludiche come videogiochi o uscite con gli amici. Noi cerchiamo di creare autonomia, ma è possibile solo se i giocatori riescono a capire di dover diventare prima di tutto persone mature”.

In questi giorni Cremona è al centro di tante discussioni per questa idea del Team Italia. Secondo te è una cosa fattibile e sostenibile? Non comporterà qualche tipo di sacrificio a livello di risultati nel breve periodo?

“L’idea che hanno avuto Vacirca e Sacchetti nasce già dagli anni scorsi e trova in questo momento storico terreno fertile per essere attuata. Negli ultimi anni la pallacanestro ha dimostrato un po’ i suoi punti deboli e per ripartire servono novità ed entusiasmo, cose che sono alla base di questa idea. Personalmente credo che sia un’idea che per il nostro movimento diventerà molto funzionale perché permetterà a giocatori giovani e ambiziosi di avere un trampolino di lancio importante. La situazione tecnica e societaria di Cremona lo permette, specialmente per la figura del coach, dal suo stile alla sua capacità di trasmettere fiducia a tutti i giocatori che allena, dai più giovani ai più vecchi. Nel far prendere coscienza dei propri mezzi ai giocatori, Meo è un fuoriclasse. Per quanto riguarda l’ambiente, credo che Cremona ci permetterà di vivere in maniera molto serena questo esperimento. Ci saranno difficoltà, questo è sicuro, ma con l’entusiasmo credo si possano superare tanti limiti e ostali. Credo ci sia l’armonia giusta per provarci”.

Come invece cambierà il tuo approccio al lavoro in caso di effettiva formazione di questo Team Italia?

“Cambierà poco. Continuerò a credere fermamente che abbiamo bisogno di creare giocatori che si sentano tali. Ho imparato, guardando Sacchetti lavorare, che un giocatore che ha paura di fare le cose non diventerà mai un giocatore di alto livello. Il mio lavoro è quello di creare sicurezza tecnica e fiducia in se stessi, in modo che questi giovani, quando verranno chiamati in casa, possano dare un contributo fatto di idea e intraprendenza e non di paura di sbagliare. Spesso quando si parla di costruire un sistema vincente a livello giovanile, si intende costruire squadre vincenti che giochino bene. Ma questo tipo di squadre spesso sono organizzazioni che riescono a nascondere le lacune dei propri giocatori. Noi, invece, abbiamo il dovere di lavorare su queste lacune e farle diventare abilità. Cambierà poco, continueremo solo a portare avanti le nostre idee con più convinzione”.



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