“Tutta la vita che resta”, Recchia: sopravvivere anche al dolore più grande

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“La forza della letteratura è quella di avvicinarci a un racconto di noi stessi. Anche nella narrazione della complessità un romanzo deve aiutarci a riconoscere frammenti del nostro vissuto”. Lo sottolinea con forza la scrittrice romana Roberta Recchia, in occasione del firmacopie alla libreria Mondadori di Avellino, del suo romanzo d’esordio “Tutta la vita che resta”, edito da Rizzoli. A fare gli onori di casa la libraia Assunta D’Amore. “La storia – spiega Roberta – ripercorre le vicende della famiglia Balestrieri tra gli anni ’50 e i primi anni ’80. Ben presto il focus si sposta su Marisa, la figlia minore e Stelvio che diventerà suo marito. Metteranno su una famiglia perfetta basata su amore, lealtà e complicità. A scuotere il loro matrimonio è però un dramma, la perdita della loro figlia Betta. Quello che racconto è il loro percorso dal momento in cui vanno alla deriva, il terribile strappo familiare li divide, ciascuno finisce per chiudersi nel proprio dolore. Ad accrescere questo dolore il silenzio della nipote Miriam, era con Betta la notte in cui la ragazza ha perso la vita ma sceglie di tacere, per vergogna ma anche perchè il dolore è troppo grande. Stelvio, Marisa e Miriam cominceranno un cammino di ricostruzione di sè stessi, in cui decisivo sarà il contributo di due personaggi come Leo e Corallina, due fratelli della borgata romana, completamente diversi dai Balestrieri. Eppure saranno proprio loro aid aiutarli a ritrovare il senso della vita”. Sulla possibilità di sopravvivere a un dolore così grande sottolinea come “L’unica strada è accettare che il dolore non si può dimenticare ma che si può imparare a convivere con esso, facendo tesoro di quello che la vita ci ha lasciato, che sia nostalgia, amore inespresso o senso di colpa “.

Spiega come “Al centro del mio universo ci sono le relazioni familiari e la tematica del pregiudizio, così Betta che è la vittima finirà col finire lei stessa sotto accusa, chi le sta intorno cercherà in lei segni di colpevolezza piuttosto che perseguire la giustizia. Il romanzo si fa dunque denuncia di un atteggiamento diffuso nella società di oggi nei confronti della vittima”. Sulla capacità delle scrittrici di farsi strada nella società contemporanea sottolinea come “E’ un dato di fatto il successo di scrittrici come Francesca Giannone con ‘La portalettere’ e Stefania Auci con “L’inverno dei leoni” o Viola Ardone con ‘Grande meraviglia”. Si tratta di romanzi bellissimi che hanno conquistato un vasto pubblico di lettori”. Sulla specificità dello sguardo femminile “La caratteristica principale è l’empatia, la capacità di raccontare storie in cui il lettore si rispecchia, di narrare la complessità. La nostra scrittura guarda a un pubblico trasversale ma è sempre vicina a ciò che raccontiamo. Ma è chiaro che le scrittrici scontano ancora una discriminazione rispetto agli scrittori, un fenomeno ancora più diffuso nel Mezzogiorno” (flo. guer)

 


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