Terremoto, 40 anni dopo. Fierro: memoria condivisa? Non con chi ha favorito clientele e malaffare – IL CIRIACO

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Ho letto con molto interesse l’intervista di Toni Ricciardi a Il Ciriaco. Sicuramente leggerò il libro “Il Terremoto dell’Irpinia. Cronaca, storia e memoria dell’evento più catastrofico dell’Italia repubblicana”che Toni ha scritto insieme a due prestigiosi intellettuali come Generoso Picone e Luigi Fiorentino. Ma devo dire che non concordo con Toni quando sul terremoto e sulla ricostruzione lamenta il grande limite dell’assenza “di una memoria condivisa e riconoscibile da tutti”.

Enrico Fierro

Sono passati quarant’anni e quello che temevo si sta puntualmente verificando: il ricordo, le celebrazioni come grande e insopportabile festival dell’ambiguità e della ricostruzione politicamente interessata di quello che è stato. Con l’immancabile contorno, veramente irritante, di richiami ai grandi della Provincia irpina, i De Sanctis, i Dorso. Anche il finale lo vedo già scritto, oscillerà tra la stantia rivendicazione dell’Irpinia sempre vessata da Roma, e quindi bisognosa di altri finanziamenti, e il lamento poetico dell’abbandono dei paesi. E qui basterà una piazza desolatamente vuota, un vecchio, con pantaloni di velluto e coppola d’ordinanza, tristemente seduto su una sedia impagliata, e il gioco è fatto. E allora devo dire che mi sono personalmente rotto le scatole di una rappresentazione che volge lo sguardo al passato ingannando il presente, e che neppure dopo quarant’anni riesce a leggere con occhi critici la realtà.

Toni afferma che tutta la vicenda della ricostruzione non può essere rappresentata solo con gli scandali. Ma sprechi e scandali sono impressi nel marmo di due documenti del Parlamento italiano: le relazioni finali della Commissione d’inchiesta Scalfaro, e la relazione su camorra e politica della Commissione parlamentare antimafia di Luciano Violante. Nei Tribunali no, c’è poco. Perché “Mani pulite” era ancora lontana, e non era ancora l’epoca dei maxi processi. Ma poi, chi doveva fare giustizia, una magistratura campana che andava a braccetto col sistema di potere politico che nominava giudici e affini nelle commissioni di collaudo delle grandi opere miliardarie? Scordandoci il passato, quarant’anni dopo il vero scandalo è sotto gli occhi di chi ha la libertà di vedere e giudicare le condizioni attuali dell’Irpinia e delle aree lucane e salernitane del cratere.

L’Irpinia sta morendo, i suoi paesi (basta leggere un’altra intervista di Toni Ricciardi a Il Mattino) si stanno dissanguando. Nei paesi simbolo della tragedia (Sant’Angelo, Lioni, Teora) i residenti all’estero sono in numero maggiore rispetto ai residenti reali. In queste tristi realtà il tasso di alcolismo giovanile e di ricorso alle droghe è altissimo, alta la percentuale di suicidi e di tentati suicidi. La città capoluogo, nel numero degli abitanti è diventata un grande paesone, ha perso ogni ruolo e funzione riducendosi ad una sorta di media periferia napoletana.

L’Irpinia muore di mancanza di lavoro, per una qualità della vita precipitata agli ultimi posti delle statistiche nazionali, per gli ospedali chiusi, per le scuole sempre più in difficoltà, per i trasporti che non ci sono e la viabilità complicata. Dopo quarant’anni, e dopo una ricostruzione che da tutti veniva spacciata come “occasione” di rinascita, dopo 64mila miliardi spesi, questa è la realtà. E questo è il vero “scandalo”, il fallimento storico di una classe politica che sfruttò cinicamente la leva dei fondi del dopoterremoto per proiettarsi nell’empireo nazionale.

Per capire l’entità di cui parliamo basta rifarsi ai dati pubblicati dal centro studi della Camera dei Deputati e dalla Corte dei Conti. Per il Belice sono stati spesi 8,4 miliardi di euro, per il Friuli 16,8 miliardi, per l’Irpinia 47,5 miliardi. Sto parlando di valori riferiti al 2008, non so calcolare il valore a oggi, 2020, ma per capirci ed essere attuali, basta ricordare che i fondi Mes che l’Europa mette a disposizione dell’Italia per migliorare il sistema sanitario e affrontare la crisi pandemica, ammontano a 37 miliardi di euro.

E allora, mi chiedo, perché io devo condividere la memoria con altri, con i responsabili di questo scempio? Perché devo partecipare ad un ricordo che tutto annebbia e tutti assolve? Io voglio condividere il dolore con chi soffrì la perdita di un familiare, della casa, con quella che Toni chiama la generazione dei prefabbricati, questo sì. Ma soprattutto voglio condividere e tenere viva la rabbia per quello che in quarant’anni non è stato fatto. Voglio continuare ad indignarmi insieme a quei miei coetanei che il 23 novembre dell’80 avevano poco più di vent’anni e a mani nude tiravano via i morti dalle macerie, con chi nei decenni successivi non si è piegato alle ragioni di un miserabile sistema di potere e ha continuato a studiare, lottare, approfondire, scrivere. Col potere e con i suoi epigoni non ci può essere memoria condivisa.

Un consiglio. Volete ricordare? Fatelo (Covid e chiusure permettendo), ma leggendo i nomi dei 3mila morti, paese per paese, piazza per piazza. Fatelo sui marciapiedi, nei cimiteri, sul web. E chiedete scusa ai vivi, alle generazioni successive, ai giovani che vanno via, a chi resta pur avendo smarrito ogni speranza.



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