“Se sei positivo sintomatico a casa, l’Asl si dimentica di te” – IL CIRIACO

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“Mio padre, per fortuna, sta bene. E questa è la cosa più importante, considerando quante persone stanno soffrendo in maniera seria a causa del Covid e il lavoro immane che tutti i giorni compiono medici ed infermieri negli ospedali. Ma non si può sottacere l’inefficienza dell’Asl che mette a disposizione numeri di telefono che, quando squillano, lo fanno a vuoto”. La storia arriva da Aiello del Sabato e la racconta Lucrezia Ruggiero. “Da un mese io e la mia famiglia stiamo vivendo una situazione surreale dalla quale, forse, riusciremo a venirne fuori solo ora che l’Asl, nella giornata di ieri, ha comunicato la positività di mio padre al Comune che, per fortuna, lo ha inserito nella lista di coloro che potranno effettuare il tampone al drive in. Tampone necessario, per i sintomatici come lui, per poter rientrare a lavoro. Ma nel frattempo, in assenza di risposte, con coscienza abbiamo autoisolato mio padre, stessa cosa che abbiamo fatto io, mia sorella e mia madre, premunendoci di contattare noi le persone con cui eravamo venute in contatto pregandole di isolarsi a loro volta e di non incontrare altri prima di verificare l’eventuale loro contagio inconsapevole da parte nostra. Altrimenti con i tempi di tracciamento contatti dell’Asl, avremmo rischiato di scatenare una catena di contagi di difficile risoluzione”.

L’Odissea della famiglia di Lucrezia inizia il 18 ottobre scorso quando suo padre ha iniziato ad accusare i primi sintomi influenzali e, dopo essere venuto a conoscenza della positività di alcuni suoi colleghi, tramite il medico di base, ha attivato il giorno seguente la procedura Asl.  “Il medico di base ha attivato il protocollo prospettandoci un’attesa di tre, massimo quattro giorni per ottenere il tampone domiciliare” spiega Lucrezia. “L’Asl ha contattato mio padre il 31 ottobre, dopo che anche io ho provato, visto che nessuno ci chiamava, a fare un’altra segnalazione. Con mia somma sorpresa mi hanno chiesto nuovamente tutti i dati di mio padre, i sintomi, e il mio recapito telefonico dicendo che mio padre avrebbe dovuto recarsi a Campo  Genova per il tampone. Nel frattempo però lui, visto che dall’Asl non aveva ricevuto risposte, aveva effettuato il tampone molecolare il 27 ottobre presso un centro privato e purtroppo era risultato positivo. Quindi vuol dire che nella banca dati dell’azienda sanitaria non risultava né l’attivazione della procedura fatta dal nostro medico di base fatta il 19 ottobre, né il risultato del tampone effettuato privatamente il 27. Da premettere che neanche noi familiari siamo stati contattati, nessuno ci ha detto cosa dovevamo fare, tanto che noi ci siamo isolate e nel frattempo abbiamo provveduto privatamente a sottoporci a tampone e mia madre è risultata positiva ma, per fortuna, asintomatica”. Il 2 novembre il padre di Lucrezia si reca, come da indicazioni dell’Asl, a Campo Genova effettua il tampone e il risultato è ancora positivo. “Anche in quel caso- racconta ancora la giovane-  l’Asl ancora non aveva contattato mio padre per sottoporgli l’intervista necessaria al tracciamento dei contatti”.

Oggi, ad un mese esatto dai primi sintomi e a più di 21 giorni dal primo tampone positivo, a sedici dal secondo sempre positivo, spiega Lucrezia: “mio padre necessita, come da protocollo, di un tampone di verifica della sua negatività per poter rientrare al lavoro. Ma i numeri di telefono messi a disposizione dall’Asl squillano a vuoto o risulta addirittura impossibile prendere la linea. E solo pochi giorni fa è stato contattato per ricostruire il tracciamento contatti, tanto che la sua positività è stata comunicata al Comune di Aiello, quello dove risediamo, solo ieri. Dopo un mese dai primi sintomi, è assurdo. Da cittadina, mi chiedo a cosa serva dire di aver istituito dei numeri di telefono a cui potersi, anzi doversi, rivolgere se poi non risponde nessuno. Ora solo grazie al Comune, dopo trenta giorni di calvario, mio padre è stato inserito nell’elenco di coloro che potranno fare il tampone di verifica al drive in. E mio padre, ci tengo a sottolinearlo, è stato anche fortunato. Non solo perché le sue condizioni di salute non si sono aggravate a tal punto da richiederne l’ospedalizzazione, ma perché è un dipendente statale. Se fosse stato un piccolo commerciante o un lavoratore a partita iva, che fine avrebbe fatto la sua attività? Mi rendo conto che probabilmente ci sarà un numero sproporzionato di chiamate da parte dei cittadini, ma io ho provato quotidianamente a mettermi in contatto, chiamando, attaccando e richiamando immediatamente dopo, anche per diversi minuti alla volta. E a sentire tante e tante storie di persone positive, mi rendo conto che moltissimi stanno vivendo la stessa situazione . Vivere per un mese con la preoccupazione per le condizioni di salute di un genitore,  nel caos, nell’ignoto, nell’assenza di chiarimenti, di spiegazioni, il tempo che passa e la rassegnazione che sopraggiunge, non è un’esperienza facilmente dimenticabile”.

 



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