Rileggere Dante Troisi tra letteratura, cinema e giornalismo

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di Paolo Speranza

Il giudice scrittore è il titolo del libro appena edito da Mephite, la casa editrice irpina che ha ripubblicato nel decennio scorso tutte le opere principali di Dante Troisi, con l’obiettivo di far riscoprire (ma innanzitutto conoscere) lo scrittore irpino più noto del Novecento, l’unico ad essere citato, sia pure con poche note, nei manuali e nelle antologie letterarie a diffusione nazionale.

Quest’opera di divulgazione storico-culturale, che ricostruisce nelle linee essenziali la biografia del magistrato nativo di Tufo, la sua produzione narrativa e il florilegio della critica, è integrata da un’ampia appendice documentaria sulla sua attività di giornalista e di opinion maker – soprattutto i suoi reportage dalla provincia di Avellino e dal Sud – che nel dopoguerra (sulle riviste di avanguardia in Campania: “Sud” e “La Voce”) e negli anni Cinquanta – sul prestigioso settimanale “Il Mondo” diretto da Mario Pannunzio – acquisì un rilievo nazionale ma è tuttora semisconosciuta ai lettori irpini e, salvo poche eccezioni, anche agli studiosi di letteratura.

Ancora più inedita e sorprendente è l’attività di Dante Troisi nel teatro e nel cinema italiano, nonchè per la televisione, concretizzatasi in una serie di copioni, soggetti, sceneggiature, con esiti irregolari ma sempre di estremo interesse letterario.

Il capitolo finale dell’Appendice è riservato alle principali interviste rilasciate dal giudice-scrittore, a partire dal successo del suo capolavoro, Diario di un giudice (1955), fino ai primi anni Ottanta.

La prima, sul periodico letterario “Il Caffè”, è anche la più ricca di sorprese, legate soprattutto ai ricordi del suo impegno politico nel dopoguerra, quando Troisi, come tutti i migliori intellettuali irpini, si schierò con decisione e coraggio in favore della Repubblica.

Inedite e molto rare sono inoltre le immagini tratte dagli sceneggiati televisivi scritti da Dante Troisi: un’altra pagina riscoperta e ulteriormente da approfondire.

Dalla monografia, che sarà presentata a novembre a Tufo, il paese natale del giudice scrittore, pubblichiamo di seguito l’introduzione dell’autore, Paolo Speranza.

 

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Più di uno studioso autorevole lo ha avvicinato a Kafka, evidenziando alcune indubbie analogie – sotto il profilo metafisico, morale, del linguaggio – tra il suo Diario di un giudice e il Processo del visionario e geniale scrittore praghese. E dalla fine del XX secolo a oggi, sull’onda delle frequenti e pericolose fibrillazioni istituzionali tra il potere politico e la magistratura, è risultato un esercizio diffuso e naturale il ricorso alla citazione di quel suo capolavoro del ’55, considerato tuttora dalla critica letteraria più autorevole un testo esemplare e insuperato sul tema della giustizia: della sua natura, della delicata funzione dei magistrati, della profonda complessità del suo esercizio, che in un animo sensibile e tormentato come quello di Dante Troisi finisce per diventare un nodo etico ed esistenziale.

Il giudice-scrittore sarà ricordato, a lungo, soprattutto per quel suo best seller fortemente voluto da Vittorini per “I Gettoni” di Einaudi. Uno dei pochi libri che in Italia ha provocato nell’opinione pubblica e nelle istituzioni un dibattito vero e serrato (non costruito a tavolino dagli uffici stampa), e tra i pochissimi – tra quelli pubblicati nel nostro Paese nella seconda metà del Novecento – a meritare un “focus” su una delle più prestigiose riviste letterarie internazionali, “The Paris Review”. E oggi, a ribadire il valore di quel Diario e della sua intera bibliografia, si spendono i più popolari scrittori italiani, da Camilleri a De Cataldo.

Anche nella sua terra d’origine, l’Irpinia, non sempre generosa e lungimirante nei confronti dei suoi figli migliori, non sono mancate iniziative e pubblicazioni rigorose (prime fra tutte, le nuove edizioni critiche di alcune sue opere nella prestigiosa collana “I Cacciaguida” delle edizioni Mephite di Fortunato Iannaccone e le importanti monografie pubblicate, con rigore e costanza, dalla rivista “Riscontri” diretta da Mario Gabriele Giordano) per renderne viva la memoria e soprattutto la produzione narrativa.

Eppure, oggi più di ieri, il nome di Dante Troisi è appena accennato (se non del tutto scomparso) dai manuali e dalle antologie letterarie, e nella stessa provincia di Avellino, che nel XX secolo ha avuto in lui il più importante e noto scrittore, l’unico a guadagnarsi tuttora uno spazio nelle pagine culturali delle testate più importanti, il suo profilo umano e letterario – e il suo stesso nome – restano tuttora ampiamente sconosciuti, anche nel mondo dell’università e della scuola.

Questo volume nasce appunto con l’obiettivo di contribuire, con umiltà e convinzione, a colmare il gap, enorme e inammissibile, che sul nome di Troisi separa nettamente una qualificata ma ristretta èlite di intellettuali e la quasi totalità dell’opinione pubblica, in Italia e in Irpinia.

Non una dotta monografia, dunque, riservata a pochi (presunti) “eletti” e indirizzata verso riconoscimenti accademici, come è vizio diffuso dell’intellettualità italiana d’oggi, ma al contrario una sorta di “introduzione alla conoscenza” di uno scrittore importante, unico e “difficile”, evidenziandone finalmente quella versatilità di scrittore, la molteplicità di esperienze creative e la qualificata rete di relazioni culturali che, molto più dei suoi romanzi, lo definiscono come intellettuale a tutto tondo e di primo piano nell’Italia del dopoguerra e possono restituire anche alle generazioni di oggi e future motivi di interesse e di attualità rispetto alla sua figura.

 

 

 


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