Recovery Fund, Mastroberardino: digitalizzazione e green per un’Irpinia competitiva – IL CIRIACO

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Il professore Piero Mastroberardino, ordinario di Economia all’Università di Foggia, e tra i più importanti produttori di vini irpini in Italia, individua gli asset strategici per lo sviluppo del territorio provinciale coerenti con le linee guida del Recovery Fund e propone una cabina di coordinamento per progetti su digitalizzazione, green e formazione.

Il Recovery Fund è in arrivo con un carico di 209 miliardi per progetti di sviluppo da attuare nei prossimi cinque anni. Ritiene che la politica, nazionale e locale, sia pronta a gestire questo passaggio cruciale?

«Sarebbe troppo facile citare Manzoni e dire che il coraggiounose non ce l’ha, mica se lo può dare ma il tema è delicato perché non abbiamo un’alternativa, è un qualcosa che bisogna fare in ogni caso. Anche se non abbiamo le categorie culturali e professionali per poter affrontare al meglio questo passaggio, bisogna in qualche modo rimboccarsi le maniche perché è un momento ineludibile se vogliamo avere speranza in qualche forma di ripresa rispetto ad un cataclisma, di cui ancora non abbiamo toccato concretamente con mano gli effetti nefasti».

La gestione passerà agli enti locali considerati soggetti attuatori del piano. Come dovrebbe agire l’Irpinia per non sbagliare?

«C’è bisogno di un coordinamento perché l’Irpinia è un territorio troppo piccolo per poter immaginare di avere più linee guida di sviluppo. Bisogna eleggere poche vocazioni sulle quali costruire un posizionamento competitivo. Se nella programmazione non si punta ad arrivare ad un risultato chiaro, si rimarrà indietro. Accade così nelle dinamiche competitive tra territori che sono molto simili a quelle tra imprese, considerato che nella pubblica amministrazione le risorse vengono distribuite anche in base ai criteri di efficienza ed efficacia nel tentativo di misurare gli interventi. Serve un criterio di misura per seguire una strada coerente all’interno di un aggregato amministrativo, quale appunto può essere la provincia,  altrimenti si perde. Visto che le aree interne sono già abbastanza perdenti, ci vuole una forte presa di coscienza e, a mio avviso, anche un lavoro concertato tra Irpinia e Sannio. Parliamo di due territori che hanno forti affinità tra di loro sia dal punto di vista culturale che per tessuto imprenditoriale, oltre che orografico. Elementi che richiamano alla necessità di definire una vocazione comune su cui lavorare coerentemente con la linea di principio e di azione del recovery fund».

Quali dovrebbero essere gli interventi principali per il territorio avellinese?

«L’Irpinia ha un fabbisogno evidente di infrastrutturazione, soprattutto immateriale. Non si può più prescindere dalle vie telematiche quindi da un investimento spinto in digitalizzazione per coprire il territorio in base alle sue caratteristiche. Se in questo momento abbiamo imprese di dimensione medio piccola diffuse in aree non necessariamente urbane, bisogna immaginare un processo di digitalizzazione che arrivi anche alle contrade rurali più marginali. Luoghi da coinvolgere in un vero piano di sviluppo, perché è lì che abbiamo degli asset rilevanti, le risorse naturali del territorio, da canalizzare in un processo di valorizzazione imprenditoriale, di riproduzione di beni materiali ed immateriali diffusi. Questo significa attivare un substrato relativo al turismo rurale, che è il fattore coesivo di una quantità notevole di forze imprenditoriali di questa terra. Questo passa per un’altra importante direttrice del recovery fund e cioè il green. L’Irpinia ha una necessità forte ed ineludibile di rimettere mano ad un’azione di recupero dei suoi valori verdi, quindi processi di bonifica di alcune aree caratteristiche come i letti dei fiumi, le zone collinari vocate che hanno subito ferite nel passato. Mettere mano a programmi strutturali e strutturati per recuperare quel requisito di base del verde ben servito però da infrastrutture, è una condizione essenziale per un riposizionamento competitivo delle aree interne. Parliamo di due grandi direttrici assolutamente compatibili ma che necessitano di un coordinamento programmatico».

Che ruolo dovrà giocare la classe imprenditoriale?

«Anche in questo caso va creato il substrato essenziale, se il territorio deve avere l’immagine verde per poter essere attrattivo, la classe imprenditoriale deve avere una cultura d’impresa che vada in questa direzione. E qui entra in agenda il grande tema della formazione, altra direttrice del recovery fund, intesa come ricerca e istruzione, con un ripensamento anche in termini di competenze. Sarebbe assolutamente auspicabile portare gli imprenditori ad avere un livello di cultura d’impresa diffusamente adeguato a svolgere il ruolo al quale sono chiamati nella società, creazione e distribuzione della ricchezza».

Ieri il presidente Ato Rifiuti Valentino Tropeano, ospite di Ecoforum di Legambiente, ha detto che l’impianto di Chianche va avanti. Lei, che da imprenditore del vino si è speso in prima persona contro la realizzazione del biodigestore nelle terre del Greco, cosa risponde?

«Rispondo citando De Luca, è stato attuato un gioco di “politica politicante”: è stato deciso di non decidere. L’Ato rifiuti per anni come soggetto che dovrebbe essere propulsivo, raccogliere ma anche stimolare le proposte alternative, è stato fermo per poter oggi dire che non ci sono idee sul tavolo e, dunque, ritornare alla posizione iniziale. Un atteggiamento che non può essere recepito dalle persone di buon senso, da chi ha cuore questa terra. Ci sono ampie zone di questo territorio che sono infrastrutturate in maniera tale da poter accogliere interventi industriali come il biodigestore, non c’è ragione di realizzarlo in quelle aree in cui sarebbe distruttivo di valore in un momento peraltro in cui dobbiamo disperatamente creare condizioni di competitività per l’Irpinia. Ora come ora non possiamo permetterci questo atteggiamento da Ponzio Pilato mascherato. Chi è chiamato a gestire organismi di interesse pubblico deve essere pro attivo, non attendere per poi registrare l’inattività di altri. La responsabilità non può essere scaricata sulla popolazione che non ha il potere d’iniziativa ma di proposta. Potere che è stato esercitato chiedendo di andare a censire aree alternative a Chianche che rispondessero a determinate caratteristiche. Una proposta che non è stata ricevuta. Se non si vuole svolgere un ruolo proattivo, allora si lasci il posto a qualcuno che invece abbia voglia di impegnarsi realmente a progettare lo sviluppo di questa terra».

 



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