Quella placida corsa sulla metro in orario

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Di Franco Festa

Andrea scende di casa, la fermata della metropolitana leggera è quasi di fronte. Abita nella zona di Valle, sono le 10 e 15, deve arrivare al Conservatorio per le 11. Ha deciso di provare, di smetterla con il lamento un po’ vile che lo assale quando vede il filobus girare regolarmente vuoto. Ne ha sentite tante, ma avverte qualcosa che non funziona nel racconto di massa. Certo, ci sono voluti tanti anni. Certo, la tecnologia è ormai superata. Certo, la metro è vissuta da tutti come un peso, un orpello inutile, anche dall’azienda che lo gestisce. Basta osservare come si sovrapponga agli altri autobus, come gli orari siano sconclusionati, come alle fermate manchi qualunque informazione. E si potrebbe continuare così. Ma Andrea ha deciso di uscire dal coro, di mettersi in gioco. Con grande fatica è riuscito a trovare, nel sito dell’AIR, gli orari giornalieri, in una selva intricata di corse per scuole aperte e per scuole chiuse, di sigle complicate, di indicazioni pittoresche. Li ha stampati, la metro passa all’incirca ogni mezzora, ma solo fino al primo pomeriggio, poi è il buio. Ingoia i lamenti, si dispone alla fermata. Primo miracolo: il mezzo arriva puntuale. Vuoto, ma puntuale. Andrea sale, oblitera il biglietto, prende posto. Il mezzo scorre tranquillo sul suo percorso, senza partecipare all’inferno di smog che avvelena intorno la città. Da Valle alla fine dei Platani a corso Europa, nessun ostacolo. Solo ogni tanto qualche mezzo privato invade la corsia riservata, ma subito rientra al suo posto. Discesa della Posta, Piazza Libertà, nessun ostacolo. All’ingresso dello Stretto un mezzo lasciato al centro della strada ritarda per qualche istante la corsa. Il proprietario esce da un negozio, chiede scusa, ingombra più avanti, ma sul marciapiedi, lasciando il percorso libero. Si scorre tranquilli per corso Umberto, fino alla fermata prevista, all’altezza del Castello, a un passo dalla destinazione. 13 minuti è il tempo impiegato, improponibile il confronto con l’auto privata, che sarebbe ancora ferma nel traffico folle di Corso Europa o di via Colombo. Un saluto all’autista, che risponde con gentilezza, lo sbuffo degli sportelli e la metro riparte. Andrea scende contento, senza ingombri mentali estenuanti per un parcheggio da cercare, stranamente sereno, lui che passa la vita nella sua auto in eterna disfida con gli altri e con il mondo. Raggiunge il Conservatorio, ne riesce qualche minuto dopo mezzogiorno. La fermata della metro è ancora a un passo, si affretta a raggiungerla mentre il traffico lì intorno è imbalsamato. Arriva, attende. Nulla. Arrivano altri autobus, non la metro. Andrea è sfiduciato, tutto il film positivo che aveva costruito svanisce. La metro arriva dopo circa mezzora, vi sale rattristato, convinto che la corsa precedente fosse stata cancellata. Non è così, era passata qualche minuto prima che lui fosse arrivato alla fermata: nell’intrico tra orari estivi e orari invernali Andrea aveva fatto riferimento a quelli sbagliati. La metro scorre quasi vuota ma agile, mentre il traffico intorno è fermo o allucinato in una snervante gimkana. In poco più di 10 minuti raggiunge Valle. Andrea scende, saluta ancora l’autista, e saluta con affetto anche la metro, mentre placida e sicura si allontana.


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