“Per mio figlio dad è sinonimo di lockdown. Significa riportarlo nel suo isolamento” – IL CIRIACO

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Si fa presto a dire didattica a distanza. La chiusura delle scuole, che arrivi attraverso un Dpcm o un’ordinanza regionale, provoca inevitabilmente uno stravolgimento della vita per tutte le famiglie alle prese con problemi organizzativi, logistici, connessioni internet che saltano, genitori costretti a scegliere tra il lavoro e il badare ai figli, soprattutto se piccoli, mentre fanno scuola da casa. Ma per qualcuno la chiusura della scuola è un vero e proprio dramma che rischia di far perdere anni di passi in avanti, di piccole conquiste quotidiane, di socialità, apprendimento, stabilità. E’ il caso dei ragazzi affetti da sindrome dello spettro autistico come Giovanni che frequenta in maniera brillante il liceo scientifico “De Capraris” di Solofra e che a settembre non vedeva l’ora, dopo mesi di dad con il suo insegnante di sostegno, di poter tornare in aula insieme ai suoi compagni. Da venerdì scorso, quando il presidente De Luca ha sospeso l’attività didattica in presenza, anche i cancelli della scuola di Giovanni sono rimasti chiusi e per lui, come per tutti gli studenti della Campania, da ieri è iniziata la didattica a distanza che dovrebbe durare fino al 30 ottobre. Non proprio una passeggiata per Giovanni, la cui storia è stata raccontata dal papà Carlo Pecora, presidente dell’associazione Inau Incontra Autismo, con un video postato sui social, divenuto presto virale tra i genitori di ragazzi autistici che condividono le stesse insormontabili difficoltà. E il papà di Giovanni, raggiunto telefonicamente, spiega perché la dad, così come immaginata, lede il diritto allo studio di suo figlio.

«Fatta così, la didattica a distanza per i ragazzi autistici è totalmente inutile. Durante i mesi di lockdown la didattica a distanza si basava sul rapporto uno a uno tra mio figlio e il suo insegnate di sostegno, un professionista preparatissimo che non lascia mai nulla a caso. Giovanni la tollerava anche se per poco, massimo per un’ora e mezza, ma comunque riusciva ad apprendere e studiare. Con bambini più piccoli, che pure soffrono di disturbo dello spettro autistico, o con ragazzi in condizioni più serie, diventa impossibile fare scuola davanti al computer. Quella attuale risulta praticamente impossibile. Mio figlio deve risultare presente all’interno della classe, deve essere visibile in video conferenza per prendere la presenza. Non è prevista, in questo momento, una didattica con rapporto uno a uno con l’insegnante di sostegno che chiaramente non può interagire con Giovanni durante la video lezione perché andrebbe ad interferire con il normale svolgimento dell’attività di tutta la classe. Che senso ha collegarsi tutti i giorni alle 8,30 per prendere la presenza, tenerlo seduto con tempi di attenzione limitati che portano ad una frustrazione visto che lui non può interagire ma deve limitarsi ad ascoltare in cuffia i docenti che parlano senza neanche capire quello che stanno dicendo? Una frustrazione che puntualmente si trasforma in rabbia che lui scarica chiaramente all’interno della famiglia. Mi chiedo perché non ripristinare, per chi può, almeno un’ora di dad con il solo insegnante di sostegno. Fermo restando che il 90% dei bambini e dei ragazzi autistici non riescono a lavorare da casa, per loro la didattica in presenza è fondamentale». Domande che, prima che un genitore, dovrebbe porsi qualsiasi rappresentante delle istituzioni prima di sfornare provvedimenti certamente a tutela della salute pubblica, ma che per alcuni rischiano di trasformarsi in un virus che fa più danni del Covid. «Quando si fa un’ordinanza del genere- continua Carlo Pecora- bisognerebbe pensare anche ai disabili in generale, e a quelli affetti da disabilità psichica come gli autistici o le persone down. Non è pensabile che i compagni di classe di mio figlio possono continuare ad avere il diritto allo studio da remoto, e lui no. E’ come se lo accompagnassi  a scuola per una lezione in presenza, e qualcuno lo lasciasse fuori dall’aula. Le persone autistiche hanno anche deficit di concentrazione, quindi fare scuola da casa, dove ci sono i giochi, il cibo, il letto, ogni tipo di distrazione possibile, diventa difficile. La scuola per Giovanni significa studiare, ma anche socializzare, poter stare in compagnia dei suoi coetanei dai quali cerca di assimilare ciò che di buono fanno, e si sente incluso cosa che non può accadere con la didattica a distanza».

Un’organizzazione, quella della dad attuale, che solo a descriverla appare impraticabile. «Per poter consentire a mio figlio di collegarsi con il suo insegnante di sostegno, dovrei collegare il suo computer alla videoconferenza di tutta la classe per risultare presente, e contemporaneamente, sia lui che il docente, dovrebbero conettersi da un altro dispositivo cambiando link ogni ora, perché ogni materia ne ha uno diverso, per poter provare a fare la dad uno a uno. Un escamotage che non so neanche se sia del tutto conforme ai protocolli vigenti». Eppure Giovanni era convinto che il lockdown, periodo che lo ha particolarmente segnato, fosse solo un lontano ricordo. «Era felicissimo di essere tornato a scuola, anche perché il suo liceo è molto ben organizzato, si vuole sentire anche lui grande e stare con i compagni di classe. Nelle scorse settimane era comunque prevista una didattica mista, ma avevamo potuto chiedere, dopo esserci confrontanti anche con il suo docente di sostegno, che lui continuasse in presenza. Quando l’altro giorno ho dovuto dirgli che non si poteva più, la prima cosa che mi ha chiesto, impaurito, è stata “papà ma siamo tornati in lockdown?” Per lui quel periodo ha rappresentato una vera tragedia: gli mancavano i compagni di classe, i parenti, le uscite al pub. E’ stato deleterio: l’isolamento sociale è la piaga dell’autismo. Abbiamo fatto sacrifici inenarrabili per portarlo piano piano ad essere parte della società esterna, adesso stiamo andando noi a riporlo nel suo isolamento. E questo è deprimente per un genitore».

Ma Carlo Pecora non demorde e lancia un appello «visto che il problema reale non sono i contagi nelle scuole, altrimenti De Luca non avrebbe riaperto nidi e materne, ma i trasporti pubblici che sono inadeguati, quanto meno si faccia un provvedimento ad hoc per permettere a tutti gli studenti con disabilità, fisica o psichica, di tornare a fare scuola in presenza».

 

 



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