Pd, De Blasio: il congresso si fa sui problemi. C’è chi ha già scelto di stare fuori dal partito… – IL CIRIACO

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Carmine De Blasio

Raccontare quotidianamente solo di scontri tra opposte fazioni, restituire l’immagine del dibattito politico come un continuo beccarsi di galli nel pollaio fa parte di una politica che non appassiona e, soprattutto, non serve più. Occorre andare oltre, ragionare dei contenuti e misurarsi sulle proposte: la sfida per la politica e per il Pd, secondo Carmine De Blasio riferimento di Areadem, è questa, senza tener conto delle liturgie, delle frasi fatte (congresso unitario, prima i programmi e poi i nomi e, perché, anche lamentarsi per la scarsa attenzione al territorio quando si forma un nuovo governo) di cui la politica è abituata a cibarsi, fingendo che siano verità assolute. Voltare pagina dopo una tornata elettorale che ha restituito sorrisi e consapevolezza al Pd, tanto in Campania quanto in Irpinia. «Eppure – dice De Blasio – non è la prima volta che le urne consegnano un risultato diverso rispetto a quelle che erano le previsioni del gruppo dirigente, accade qualche anno fa in città dove, come per le regionali, le cronache politiche provinciali lasciavano presagire una batosta…».

E invece le cose sono andate all’opposto: secondo lei per quale ragione?

«Perché l’elettore sceglie a prescindere dalle quotidiane morbose cronache politiche ed anzi c’è qualche migliaio di voti che sono andati soltanto al Pd. Certamente il risultato, qui in Irpinia migliore rispetto alle altre province, è collegato alla straripante vittoria di De Luca: non ricordo un successo cosi ampio e dunque c’è stato un indubbio effetto trascinamento».

Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia ovvero un partito spaccato che si avvia ad un congresso non più rinviabile cercando un’impossibile unità…

«Guardi, questa vicenda del congresso è una delle cose che ci portiamo dietro da troppo tempo. Quando mi dimisi dalla segreteria provinciale, oramai quasi cinque anni fa, lo feci con la promessa della segreteria nazionale della convocazione di un congresso straordinario, ne parlai con Guerini, ma da allora nessun congresso si è mai svolto per la troppa titubanza dei gruppi dirigenti che forse non si sono sentiti abbastanza autorevoli da assumere una decisione, affidandosi a quello che accadeva sui territori: il risultato è stato quello di una precarietà costante…».

Con questo scenario solo parlare di unità diventa un azzardo…

«Ma questa storia dell’unità che si deve annunciare prima di ogni passaggio congressuale fa parte del “catalogo” della politica, della sua liturgia, ma è soltanto produzione di aria se non ci sono fatti concreti a supportare questo annuncio. E poi, se vogliamo dirla tutta, nel passaggio delle regionale, con la lista del Pd, c’è già uno sforzo di unità che può essere la strada da seguire e credo non vada sottovalutata la necessità di una riflessione su cosa sarebbe potuto accadere se il risultato fosse stato peggiore e fosse passato il messaggio che l’alternativa si trovava fuori dal Pd».

Però c’è un pezzo del partito, tesserati con ruoli istituzionali importanti e finanche il deputato, che si trova su posizioni diverse, antitetiche alle vostre: come si fa a trovare una quadra?

«Mi rifaccio alle dichiarazioni del commissario provinciale e del segretario regionale rispetto ad una situazione paradossale che noi abbiamo già vissuto e che purtroppo ci ha visto consegnare, dal punto di vista politico, istituzioni importanti a governi figli del trasformismo spinto e mi pare che le parole di Cennamo e di Annunziata siano state abbastanza chiare. Purtroppo il problema vero è che c’è chi ritiene che ci sia un modo diverso di stare nel partito e si senta legittimato a fare altro, salvo poi, quindici giorni dopo, ricordarsi di far parte di quella famiglia. Per quanto riguarda il congresso saranno il commissario e le commissioni di garanzia a tutelare i diritti degli iscritti e la partecipazione di tutti, ma vorrei ricordare che nelle liste del presidente c’erano gruppi dirigenti del Pd, anche a livello regionale, mentre le altre liste sono politiche e chi le vota o chiede il voto lo fa contro il Pd: dunque un conto è avere il diritto di partecipare al congresso, un altro è quello di fare come si ritiene più opportuno».

In precedenza lei ha fatto riferimento all’autorevolezza. Qualche settimana fa, a seguito della nomina della giunta De Luca, c’è stata una levata di scudi contro il Governatore che avrebbe ignorato l’Irpinia. La polemica sembra francamente piuttosto paesana, ma non sarà perché qui non c’è una classe dirigente autorevole?

«Questa rivendicazione, che si fa ad ogni nuovo governo che nasce, è un’altra di quelle cose che fanno parte della liturgia della politica. Per quello che è il tempo che stiamo vivendo non credo ci si possa fermare ad una sterile rivendicazione di posti, ma occorre mettere in campo una seria proposta politica. Il lavoro della giunta De Luca nei cinque precedenti, dopo il governo Caldoro, è stato importante, ma oggi siamo ad un passaggio epocale: davanti a noi c’è la sfida della rinascita da portare avanti con le risorse europee, molte delle quali saranno destinate al Sud. E allora misuriamoci sulla qualità delle proposte, chi deve farlo se non la politica? E dentro la politica chi se non il Pd deve assumere l’iniziativa? E’ per questo che, non da oggi, ho chiesto il congresso, perché emerga la consapevolezza dell’importanza di questo passaggio, cosa che oggi non è. Se invece si intende regolare qualche conto allora meglio che si capisca che sono le scelte a regolare i conti e quindi se uno sceglie di stare fuori dal partito è come se avesse scelto. Al congresso si va per parlare di problemi, quelli dei giovani ma anche quelli degli anziani, in un mondo che cambia come cambia anche la politica. Dobbiamo fare i conti con questa condizione nuova ma davanti a noi c’è una pratica e sarebbe gravissimo se rifiutassimo di stare dentro i processi».

 



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