Malessere: come salvare i giovani

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Di Gerardo Salvatore

Ogni giorno, dai vari mezzi di comunicazione, apprendiamo inequivocabili segni di malessere dei giovani. Le famiglie, la scuola, le associazioni giovanili, molti sacerdoti disponibili ad una efficace azione pastorale, cercano di decifrarne il malessere. Alla base di questo sforzo c’è la consapevolezza che tutte le spiegazioni per categorie non si rivelano valide per una lettura attenta e convincente del fenomeno. Le conclusioni prevalenti dei mezzi di comunicazione finiscono con l’affermazione che i ragazzi di oggi stanno male: depressi, ansiosi, irrequieti, confusi. Non pochi studiosi della condizione giovanile asseriscono che, tra i giovani, il corpo diventa oggetto e non soggetto di protagonismo umano, sociale e spirituale. Per quanto riguarda la sfera sessuale, rispetto a pochi anni fa, la preoccupazione degli psicologi e psichiatri non riguarda più la precocità, ma l’aumento percentuale di giovani che vivono il sesso in modo inattivo, senza quelle emozioni preparatorie che hanno conferito senso e valore a intere generazioni che certamente non ricorrevano al Viagra o allo stupro di gruppo. I ricorrenti episodi di rissa tra i giovanissimi costituiscono un preoccupante fenomeno di psicologia sociale: nel marzo scorso a Napoli, Francesco Pio Mainone, 18 anni, è stato ucciso da un proiettile partito, pare, da una rissa nata da un paio di scarpe macchiate per sbagli. Sono, altresì, non rari i fenomeni di bullismo e cyberbullismo, soprattutto tra i giovani tra i 14 e i 26 anni di vita: al 31 ottobre 2022 in Italia 28.881 minorenni sono stati denunciati o arrestati, il 14% in più rispetto al 2019. È anche preoccupante secondo molti psicologi, la indifferenza di quelli che stanno a guardare all’interno del gruppo dei minori protagonisti di atti di bullismo e cyberbullismo. All’attenzione degli esperti della complessa materia non mancano in Italia i diffusi casi di adolescenti dipendenti dal gaming online, ossia da videogiochi/internet gaming disorder). L’analisi delle devianze giovanili potrebbe continuare, ma è necessario individuare degli sforzi e dei percorsi efficaci che interpellano la famiglia, la scuola, le presenze associative e le parrocchie presenti sul territorio. Senza il risveglio responsabile e permanente delle famiglie è impensabile prevedere linee progettuali efficaci. Sono ormai 50 anni che il rapporto scuola-famiglia non solo non è costruito secondo i principi legislativi che idearono gli organi collegiali nella Scuola, ma addirittura tale rapporto è diventato un momento conflittuale tra genitori e docenti. L’humus di uno sforzo sociopedagogico non ha fecondato un impegno reciproco delle due componenti per avere una scuola come spazio educante, momento prezioso di crescita integrale dell’adolescente. La crisi della famiglia da un lato, la diffusa demotivazione dei docenti dall’altro, hanno delineato una crisi a danno degli stessi adolescenti che, senza forti modelli di riferimento, approdano, spesso senza accorgersene, ai vari sentieri della devianza. A questo quadro di riferimento negativo si somma la mancanza del primario interesse dei legislatori, che pensano di lavarsi le mani, solo partorendo leggi che, nel concreto dell’impatto quotidiano, hanno bisogno di sostegni e di orientamenti certi anche nella selezione del quadro dirigenti scolastico. Cosa si può fare, allora, come società, come scuola, come politica, come genitori? C’è bisogno di essere squadra, se è vero che nessuno si salva da solo, è altrettanto vero che nessuno salva da solo. In sintesi serve un approccio psicoeducativo che coinvolga tutta la comunità del territorio, senza tentazioni di girarsi dall’altra parte pensando che altri risolvano il problema.


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