Le diverse sfumature del peggio

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A Palestinian girl eats while sitting in the shade of a damaged fridge outside her family’s house in Khan Younis refugee Camp, southern Gaza Strip, Saturday, April 16, 2016. (AP Photo/ Khalil Hamra)

Di Vincenzo Fiore

Scriveva Emil Cioran, un pensatore che mai direttamente si è occupato di politica, che qualsiasi regime nasconde in sé un grado di malvagità, bisogna saper distinguere soltanto fra le «diverse sfumature del peggio». Perché di sfumature si parla, soprattutto nell’interpretazione delle drammatiche vicende che stanno interessando il Medio Oriente, al contrario ingenui e forse un po’ ipocriti appaiono i commenti di coloro che, con la comodità dell’osservatore da scrivania, dividono serratamente in bianco e nero, in bene e male, in buoni e cattivi.

Se l’ultimo attacco di Hamas iniziato all’alba del 7 ottobre con l’operazione chiamata «Tempesta Al-Aqsa» ci lascia sgomenti e attoniti, dinanzi a una così fredda ferocia degna delle SS di Hitler e dei miliziani dell’Isis, durante il quale c’è stata una vera e propria strage di innocenti; dall’altra parte non possiamo ritenere certamente etici i razzi che dall’alto cadono indiscriminatamente su quello che trovano, che in questi giorni, ma in realtà da anni, illuminano le notti sul territorio conteso.

Dopo soltanto nove giorni di conflitto, il bilancio delle vittime fra Palestina e Cisgiordania è salito a 2.384 vittime e 10.250 feriti. Fonti israeliane affermano che tuttavia un terzo delle vittime sarebbe riconducile ad appartenenti al gruppo terroristico di Hamas, tralasciando quegli altri due terzi come se si stesse parlando di conti algebrici e non di vite umane. Nonostante l’esercito israeliano, secondo molti, sia tra i più o addirittura quello più tecnologicamente avanzato, sono innumerevoli gli obiettivi non militari distrutti: a cominciare da semplici abitazioni, passando per le scuole, fino ad arrivare agli ospedali. Tra accuse reciproche e ammissioni di errore, resta soltanto certa una scia di sangue in continuo aumento.

Pensare di ridurre semplicemente questa guerra a un tipico conflitto fra due popoli o a una crociata anti-terrorismo sarebbe un grave errore. In mezzo al terrorismo di Hamas e alla politica aggressiva del governo di Tel Aviv, vi sono milioni di persone stanche di queste inutili stragi, estenuate dalle sirene della notte, dal rumore delle bombe che fanno saltare i vetri delle finestre. I due giornali progressisti «The Times of Israel» e «Haaretz» negli ultimi giorni hanno firmato due editoriali concettualmente simili dove individuano nella persona del primo ministro Netanyahu «il maggior responsabile di questa situazione».

Lo scorso novembre la coalizione di estrema destra ha vinto nuovamente le elezioni, esasperando una politica di tensione sia all’interno che all’esterno del paese, anche intellettuali ebrei in Italia e nel mondo si sono espressi contro le politiche scellerate di Netanyahu, da David Grossman a Moni Ovadia.

Ad oggi la pace sembra lontana, ma chissà se prima o poi proprio come nell’aneddoto biblico del bambino da dividere fra le due madri e del Re d’Israele Salomone, chi ama veramente i suoi figli possa fare un passo indietro per il bene più alto: la vita di un innocente.


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