La vittoria dei candidati antisistema

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Di Andrea Covotta

Quando Jorge Mario Bergoglio venne eletto Papa nelle sue prime parole disse che i fratelli cardinali erano andati a prendere il nuovo pontefice quasi alla fine del mondo e fece così riferimento alla sua nazione: l’Argentina. In realtà nel paese sudamericano scorre tanto sangue italiano. Una nazione enorme, che vive sull’orlo di un baratro economico e viene da decenni di inflazione drammatica, ora è al 140%, e un debito estero ancora alto accumulato con il Fondo Monetario Internazionale. Il vincitore delle elezioni presidenziali di domenica scorsa è Javier Milei. Si è imposto con un margine ampio sul peronista Sergio Massa, ministro dell’Economia uscente. Milei è l’uomo nuovo della politica argentina, ha fatto la campagna elettorale adottando come simbolo la motosega ed è soprannominato “El Loco”, il matto, porta un’acconciatura alla Mick Jagger e ha dei modi alla Beppe Grillo. Come ha scritto Emiliano Guanella sulla Stampa “L’exploit del candidato antisistema è straordinario, se si considera che ha iniziato la sua carriera politica solo due anni fa e che non dispone di una struttura di partito […] Più dell’ideologia e dei principi, gli argentini hanno votato con la pancia, stanchi di un sistema di potere basato sull’assistenzialismo di Stato che ha portato ad avere il 40% della popolazione dipendente da redditi di cittadinanza, sussidi sociali, pensioni o impieghi pubblici […] Milei ha promesso una vera rivoluzione, ma non avrà vita facile, anche perché non dispone di una maggioranza in Parlamento. Vuole dollarizzare l’economia argentina, mettendo in pensione lo svalutatissimo peso per adottare la moneta statunitense”. Il primo a complimentarsi con Milei è stato Donald Trump che spera di ritornare alla Casa Bianca. Negli Stati Uniti si vota l’anno prossimo e si ripeterà, almeno così sembra, il duello tra Biden e Trump. Quest’ultimo ha fatto scuola nel continente americano. In Brasile ha prima vinto e poi perso Bolsonaro e oggi in Argentina Milei. C’è, dunque, una crisi della sinistra ma anche una involuzione della destra ormai lontana parente di quella moderata e conservatrice espressa in Europa da Helmut Kohl o Jacques Chirac e negli Usa da Ronald Reagan e George Bush padre, leader liberali e liberisti. Adesso la destra ha il volto di Donald Trump e oggi di Javier Milei. La sinistra, dall’altra parte non riesce a trovare un’alternativa a un leader anziano e fisicamente debole come Joe Biden, mentre in Argentina si è affidata a Sergio Massa che per anni è stato soprannominato “il perdente”. Sinistra un po’ triste e destra guascona, due facce che stanno diventando un modello non solo per l’Argentina ma per molti Paesi, compreso il nostro. Eddy Schlein viene accostata ai leader della sinistra radicale che però difficilmente vincono le elezioni. Sull’altro fronte Salvini e Meloni si ritrovano stretti tra le responsabilità di governo e le promesse elettorali che non riescono a rispettare. Del resto in Italia, come altrove, nessuno segue la lezione dello scrittore Anatole France che già agli inizi del Novecento avvertiva: “non esistono governi popolari. Governare significa scontentare”.


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