La versione di Flavio: uno sguardo sul futuro

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“Se credete, possiamo far passare la vicenda per una cosa che riguarda le eventuali responsabilità personali dei soggetti coinvolti a vario titolo. Oppure, per una questione avellinese, irpina, cestistica, sportiva. E certo, salvare ragioni sociali è una buona cosa, ma se tutto si deve ridurre a questo ci sono adagi su alberi e foreste da compulsare. Oppure ancora, e sarebbe meglio, potremmo cogliere l’occasione per interrogarci su quello che siamo stati e siamo come comunità. Perché senza queste risposte, avanti non si va”.

Così ieri sera Flavio Tranquillo, commentando la situazione della Scandone. Dopo l’incontro tra il sindaco Gianluca Festa, l’amministratore delegato della Sidigas Dario Scalella e il custode giudiziario Francesco Baldassarre, il noto giornalista di Sky ha offerto una diversa chiave di lettura dell’accaduto.

Il pensiero di The Voice, come lo chiamano tutti gli amanti della pallacanestro del Belpaese, è molto in linea con le tesi del suo ultimo libro, “Lo Sport di Domani”, edito da ADD editore e nelle librerie di tutt’Italia dallo scorso 28 ottobre.

Per sviluppare questo punto di vista abbiamo contattato direttamente Tranquillo.

Partendo dalle cifre di cui si parlava ieri, circa 23 milioni di debiti accumulati dalla Scandone, due domande sorgono spontanee: come è possibile che una tale massa debitoria sfugga a chi fa i controlli in fase di iscrizione? E perché in questi casi arriva sempre prima la Procura piuttosto che gli organi di controllo federali e istituzionali, nel caso FIP e Agenzia delle Entrate?

“È senza dubbio una domanda lecita che tutti hanno il diritto di farsi. Ma è anche una domanda che arriva a valle delle cose. Si insiste forse troppo, però, sul <<chi è il colpevole>> e meno sulle cause a monte. È certamente possibile che ci siano state delle omissioni, ma vista l’estensione del fenomeno, che ormai non è più riferibile a pochi casi isolati (per quanto non sia da considerarsi endemico) bisognerebbe spiegarsi secondo quale principio siano stati accumulati certi debiti. Parlare semplicemente di cattiva amministrazione potrebbe essere addirittura fuorviante. Non possiamo pensare infatti che non si riuscisse a vedere che la situazione debitoria, a fronte del giro d’affari o ai ricavi, non fosse congruente. Per quello bastava un minimo di conoscenza di economia, che certo non difetta a chi amministra una società sportiva. Quindi bisognerebbe spiegare, per dare utilità alla riflessione, perché lo facevano. Non possiamo fermarci all’analisi dell’accaduto, bisogna sollecitare una discussione sul perché si fa sport in perdita e sul perché si ignori una situazione che genera debiti con l’erario superiori a qualsiasi cifra accettabile. Contestualizzare è imprescindibile, perché i 15 milioni di Avellino o i 28 di Siena sono gravi solo se li si rapportano al giro d’affari. Si tratta di cifre davvero eclatanti, e che quindi necessitano davvero di una spiegazione rispetto alla loro genesi”.

Il tema della trasparenza è uno dei temi che tratta nel suo ultimo libro. Situazioni come quella di Avellino e Siena risaltano la difficoltà nel reperire notizie anche post facto, un problema paradigmatico del momento dello sport italiano. Come si può cambiare questo tipo di cultura?

“La trasparenza è la forza di un sistema. Quando parliamo di deficit di trasparenza, non facciamo riferimento alla volontà di conoscere i segreti di qualcuno per morbosa curiosità, ma all’avere accesso a dati che devono essere pubblici per garantire tutti i portatori di interesse verso l’impresa. È evidente che di fronte all’insorgere di più casi di questo tipo, e non solo in serie A o ad alto livello, si configura un problema di sistema. Gli stakeholder dovrebbero perciò chiedere questa vera trasparenza, in modo da poter orientare (per quanto loro compete) l’azione della società sportiva e fungere da coscienza critica. Poter compulsare questi atti da parte di soggetti che siano in grado di leggerli e verificarli, dovrebbe essere una pratica incoraggiata dagli imprenditori sportivi, perché in questo modo si riuscirebbe a portare all’attenzione dell’opinione pubblica il senso di quello che è stato fatto. Nel caso di Siena, ad esempio, col meccanismo del lease back, la società è stata iscritta al campionato 2013/2014. Sostanzialmente è stato dato un valore di quasi 8 milioni di euro al titolo di Siena. Il Tribunale ci dirà se questa condotta configura o meno un reato, ma a noi importa comunque capire perché certe scelte sono state fatte e che conseguenze potenziali hanno”.

Quando ci sono situazioni di possibile fallimento, si innesca sempre una narrazione della leggenda sportiva, della matricola, della ragione sociale originale, della presunta purezza di un ideale, che diventa spesso un nascondiglio per pratiche che poi diventano oggetto di indagine o illeciti. Come si cambia questo modus operandi che inquina l’informazione?

“Io non ho lezioni da dare a nessuno. Per la mia esperienza, sarei tentatissimo di rispondere che sì, questo tipo di comportamento nasce per portare l’attenzione lontano da altri territori. Rifuggo però dal farlo in omaggio al mio ruolo professionale, che mi impone di riportare fatti e collegamenti logici, per mettere in condizione le persone di trarre le proprie conclusioni. Non è compito mio quello di suggerire una concatenazione tra l’attenzione dedicata ai classici discorsi sul salvataggio di titoli o della tradizione/blasone e quella negata all’obiettivo stato di decozione del club. Non nego al tifoso il rapporto psicologico con la propria squadra, ma in casi del genere il punto giornalistico riguarda la situazione societaria e tutto quello che c’è attorno. Una cosa non esclude l’altra, ma concentrandosi solo sul lato sentimentale/emotivo si corre addirittura il rischio di utilizzare un argomento per negare in maniera profonda e radicale l’altro. Quello che mi sento di dire, pur comprendendo bene la psicologia del tifoso, è che dire che una squadra deve essere salvata a qualsiasi costo e che non importa come sia sbagliato. Sbagliato di per sé e per perché le conseguenze tremendamente penalizzanti per tutto il sistema”.

Nel suo libro fa una distinzione tra Programmazione e Pianificazione, denotando come in Italia ci sia grande attenzione per la prima e poca per la seconda. In che modo questo influisce su tutto il movimento?

“Quando parlo di programmazione non intendo l’efficacia della programmazione. Rispetto a questa tematica, però, in generale nello sport italiano c’è un’attenzione elevata. Poi le scelte possono essere condivisibili o meno, ma ciò non sminuisce lo sforzo e l’impegno. Viceversa, la pianificazione è un’attività che non viene proprio contemplata. Credo che siano almeno due i limiti che producono questa situazione. Il primo è ragionare contemplando solo il proprio angolo di visuale, giudicando qualcosa conveniente o meno in quel momento per la sua situazione, senza visione di insieme. L’altro afferisce al tenere tutte le situazioni nello stesso calderone, indipendentemente dal fatto che siano o meno congruenti l’una con l’altra. Come se tra dilettanti e professionisti, tra sport di base e sport di vertice, si potessero o dovessero utilizzare le stesse ricette. Un modo di procedere miope e vecchio, che francamente non è più in grado di governare le complessità odierne”.

L’articolo La versione di Flavio: uno sguardo sul futuro proviene da IL CIRIACO – Quotidiano on line di Avellino e Provincia.



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