La rivista Humanitas Nova racconta il fenomeno delle migrazioni. L’unica strada possibile è l’integrazione

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Si fa riflessione a tutto campo sul fenomeno delle migrazioni per dimostrare come sia parte integrante della storia dell’uomo il nuovo numero della rivista Humanitas Nova, diretta da Romualdo Marandino ed edita da Delta 3. Punto di partenza il convegno “Migrantes” tenutosi all’Abbazia del Goleto di Sant’Angelo dei Lombardi nel maggio scorso.E’ la riflessione dell’allora sindaco Marco Marandino a introdurre il numero, citando l’esperienza positiva dell’ex-SPRAR, attuale  SAI, cioè del Sistema di Accoglienza e Integrazione dei migranti “abbiamo un sistema di accoglienza di 65 ospiti e abbiamo anche realizzato un centro di accoglienza intercomunale che ha, come totalità, 120 ospiti. Si sono avviati alcuni corsi di  alfabetizzazione di italiano, oltre che di alfabetizzazione digitale, tirocini lavorativi, e alcuni laboratori dei mestieri e dell’artigianato che  loro già conoscevano e praticavano. Questo per dire cosa? Come diceva  don Tarcisio, se la crescita non corrisponde ad un effettivo miglioramento  delle condizioni dello sviluppo morale – perché stiamo vivendo un profondo momento di decadimento morale, civile e sociale – se non veniamo fuori da questo contesto e da questa situazione non possiamo parlare di  orizzonti e di prospettive future”.

E’ Roberto Spataro a ricordarci le migrazioni dei popoli o di minoranze etnico-religiose rintracciabili in modalità diversificate in tutte le epoche della storia. Un fenomeno che si spieg a con ragioni economiche, legate al desiderio di superare una condizione di indigenza e politiche associate all’oppressione di minoranze etniche o religiose che, per vivere dignitosamente e in libertà, non senza pericoli, fondarono nuovi insediamenti lontano dalla propria patria. Dai calvinisti puritani inglesi che nel secolo  XVII, perseguitati dall’establishment della Chiesa riformata d’Inghilterra, fondarono le colonie nordamericane alla fuga dei Cristiani, sopravvissuti al genocidio turco del 1916 e 1917, soprattutto armeni e siriani, verso la Palestina e la Francia. Un bisogno, quello di migrare, evidenziato attraverso gli esempi del poeta Virgilio, autore dell’Eneide o del filosofo francese Gabriel Marcel.  E’ Virgilio, sottolinea Spataro, a porre l’accento sulla provvidenzialità della migrazione troiana “Le migrazioni dei popoli, pur essendo frutto di umane concause, non si esauriscono nell’humanum, ma affondano le loro radici nel  disegno salvifico di Dio e assumono il ruolo di stimolo alla crescita della  comunità umana quando promuovono e non ostacolano fenomeni religiosi”.

Di notevole interesse lo studio Flavio Castaldo che approfondisce la realtà dei popoli italici preesistenti alla dominazione romana, individuandone contaminazioni, originalità e “silenziose resistenze”, manifestatesi anche nella cultura materiale,  per dimostrare che proprio la cultura di questi popoli è alla base di tratti caratteristici della popolazione romana “vincente”, che li assimilò e li fece propri. Miran Sajvovi ricostruisce le migrazioni del popolo ebraico, così come sono narrate nell’Antico Testamento, da Abramo e l’esodo dall’Egitto alla deportazione in Babilonia per ribadire come si trattò quasi sempre di una migrazione involontaria. Romualdo Marandino propone i Greci come “modello esemplare di integrazione non solo per l’età antica, ma anche  e soprattutto per il tempo presente, che purtroppo si è differenziato molto dalle pratiche, ordinarie e straordinarie, di allora e segue un percorso  tortuoso e per lo più doloroso, essendo ancora vivo e forte il senso della  diversità etnica ed antropologica, tracciato nei secoli post-medievali e potenziato notevolmente dai tristi eventi del secolo scorso, ispirati da una  imponente e feroce ideologia della razza”. Marandino sottolinea come uno spirito progressista guidò le migrazioni dei Greci, spesso finalizzate alla stabilizzazione definitiva in altre terre e alla loro colonizzazione ma soprattutto alla valorizzazione delle risorse di quei territori. Come la Sicilia e l’Italia meridionale, che poi presero il nome di Magna Grecia. E proprio grazie ai Greci che emigrarono, nacque la civiltà  europea e da essa quella mondiale. Mario De Bonis si sofferma sulla dignità della realtà etnica arbreshe nell’Italia meridionale dove gli albanesi arrivarono, spinti dall’anelito di libertà, la povertà economica, l’arretratezza culturale e logistica, l’arroganza dei nuovi conquistatori turchi, la ricerca di una sopravvivenza migliore. Ad emergere il ritratto di un Sud terra di accoglienza dove ancora oggi, oltre alle minoranze albanesi, esistono gruppi omogenei con tradizioni e lingue proprie, a partire dalle comunità greche in Puglia e Calabria.

Nicola D’Apolito ricostruisce le emigrazioni italiane dall’Unità al secondo dopoguerra, come parte importante della Storia d’Italia, capaci di assumere tratti diversi negli anni, dal desiderio di sfuggire alla miseria all’emigrazione di ricercatori e giovani con un elevato tasso d’istruzione. Andrea La Regina parte dalla propria esperienza di responsabile dell’ufficio dei macro-progetti presso la Caritas Italiana, per porre l’accento sui paradigmi comuni dell’accoglienza, dalla promozione di uno sviluppo umano integrale di migranti e di rifugiati alla necessità di integrare nel segno di un arricchimento reciproco e di una feconda collaborazione, nella convinzione che l’umanità che soffre ha bisogno del contributo di ciascuno. A curare le conclusioni il vescovo Pasquale Cascio che ci ricorda che “L’integrazione è in pratica un cambiamento reciproco: cambio io che vengo nel tuo cuore  e cambi tu che mi accogli nel tuo cuore; cambia l’albanese che arriva da  noi, ma cambia anche quel territorio e quella popolazione che accoglie  l’albanese. Questa è l’integrazione, non è l’attesa che l’altro, lentamente, si assuefaccia e assorba quello che siamo noi e diventa come noi o peggio  di noi (nei difetti subito diventano peggio di noi, ma l’integrazione non è  l’integrazione dei difetti!)”.


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