La necessità di partire, il diritto di poter restare. Irpinia, ma quale primo maggio

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Foto: triplea.it

Partire e restare sono i due poli della storia dell’umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di sé stessi”.

Ci perdonerà lo scrittore Vito Teti se prendiamo in prestito una sua riflessione tratta da “La Restanza“. Il saggio, che trasporta e riverbera l’eco delle aree interne calabresi, raccoglie anche quel “vento forte tra Lacedonia e Candela” che sferza l’Irpinia.

Parole che ci aiutano ad aprire il Primo maggio, quello con la P maiuscola, che celebra le lavoratrici e i lavoratori. Difficile continuare a sostenere questa tesi, circondati dalla disillusione di una terra che poteva essere, ma non è stata. E chissà cosa vorrà fare da grande.

Inutile star lì a girare e rigirare tra i concorsi di colpa, tra politica, classe dirigente, clientelismo, questione meridionale. C’è un po’ di tutto nell’amarezza irpina, coagulata in un’istantanea del momento, dell’oggi.

Sono oltre 300 i lavoratori che non sanno cosa sarà del loro futuro lavorativo. La perenne vertenza dell’Industria Italiana Autobus, prossima a una privatizzazione selvaggia, potrebbe rimpolpare la lunga lista delle cattedrali nel deserto che costellano, come stelle spente, i territori della provincia avellinese. Intanto sul fronte Asidep la situazione si fa ancora più critica, con gli operai che da domani fermeranno tutti gli impianti di depurazione.

Non se la passa meglio il settore dell’Automotive, da Stellantis a Denso. Tra cassa integrazione e incoraggiamenti per uscite volontarie e pensionamenti anticipati, il ramo aziendale sul quale si è poggiata l’economia industriale irpina, sta pian piano scomparendo.

Nel corso degli anni, l’interconnessione tra i vari livelli istituzionali, da quello operaio a quello politico è venuta meno, disgregando la rete che teneva insieme il tessuto sociale.

In mancanza di prospettive la popolazione emigra, è scritto nella storia dei tempi, dando vita all’ormai abusato “spopolamento“, tanto caro alle campagne elettorali correnti, che sta erodendo l’Irpinia dall’interno.

Si è passati dai 410mila abitanti del 2020 ai circa 401mila del 2022: in tre anni sono state perse 9mila persone. Ci sono paesi dove non si nasce, succede a Torrioni, Tufo e Montaguto che contano un neonato in un anno; dai due ai tre a Chianche, Cairano, Teora, Senerchia, Sant’Angelo all’Esca, Parolise e Salza Irpina. Meno di dieci nascituri in quasi la metà dei comuni irpini.

E, per finire, secondo l’Istat nel 2023 è andato via l’1,5% della popolazione, 6mila persone in meno, composte per la maggiore da giovani.

La necessità di partire per trovare un futuro migliore che fa a cazzotti con il diritto di restare. Intanto l’Irpinia perde i suoi migliori prodotti, che vanno ad arricchire culturalmente e industrialmente altre città, altri luoghi, altre economie.

Nella speranza che l’Irpinia non continui a vivere di ricordi e nostalgia, festeggiamo la festa del lavoro, di quello che verrà.


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