“Io, tra i 20mila giovani che hanno lasciato l’Irpinia”

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Di Matteo Galasso

Poco più di un anno fa, il 9 settembre 2022, lasciavo per la prima volta Avellino, i miei genitori e le connessioni affettive coltivate durante diciotto anni di vita, trasferendomi in Svizzera, a Ginevra, per studiare Relazioni Internazionali. Sebbene questa scelta sia stata vista da molti come saggia e audace, non nascondo che in se ha anche una dimensione drammatica, poiché si inserisce nel contesto più ampio dello spopolamento del nostro Mezzogiorno. Spesso, infatti, i giovani formati all’estero trovano difficile tornare in Italia, dove i meriti non sono sufficientemente valorizzati e le capacità sono sfruttate senza un’adeguata retribuzione.

 

Perché ho lasciato l’Irpinia

Il mio trasferimento è stato motivato da diverse ragioni, alcune legate alla scelta di una carriera professionale, altre dovute a necessità dettate dalla mancanza di prospettive nel mio luogo d’origine, l’Irpinia, e un po’ in tutto il Sud del nostro Paese.

In effetti, il 46% degli studenti meridionali laureati è costretto a emigrare alla fine degli studi: tra il 2013 e il 2023, 20 mila giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni hanno abbandonato l’Irpinia, senza contare gli studenti fuorisede che pur non spostando la propria residenza da anni non vivono più nella nostra terra.

Questi dati dovrebbero essere motivo di preoccupazione per le autorità politiche locali e nazionali, ma non sembrano riscontrare alcun interesse: sono tutti pronti a riempirsi la bocca parlando di giovani, di prospettive per il loro futuro, ma dopo mezzo secolo di dibattiti e incontri demagogici, ci si mostra del tutto impreparati ad agire in maniera concreta.

Un esempio?

Nella nostra provincia si continuano a sprecare fondi – e parliamo di milioni di euro – sia in feste di piazza per organizzare eventi a basso impatto culturale sia in progetti tanto costosi quanto inutili: il tutto dovrebbe in teoria apportare un miglioramento in termini di qualità di vita e di opportunità di lavoro, ma in realtà tutto questo denaro contribuisce a pregiudicare lo stesso reddito delle future generazioni, visto che tutti i fondi investiti in feste e “progettualità” provengono dalle tasse versate dai cittadini di oggi e di domani. Sembra paradossale, quindi, che nonostante l’angoscia per un futuro privo di reali prospettive occupazionali per i giovani diplomati e laureati irpini, si possa dire, ad esempio, che la nostra città capoluogo sia diventata grandissima e che i comuni della nostra provincia siano voltati ad un turismo culturale ed enogastronomico che li salverà dal deserto demografico. Ma sappiamo tutti che la nostra città, come i comuni della nostra provincia, si svuotano in modo progressivo: alla fine della stagione estiva molti giovani ripartono per i luoghi dove hanno deciso di affrontare i loro studi e dove con molta probabilità resteranno per anni. Pertanto queste affermazioni condite di un ottimismo retorico causano perplessità e una sotterranea frustrazione tra tutti coloro che invece sono costretti a inseguire i propri sogni altrove, lontano dalle loro famiglie, che vedono i propri figli allontanarsi il più delle volte in modo definitivo. Il problema principale che spinge i giovani a lasciare il nostro Paese è proprio l’assenza di un sistema di welfare efficiente e di uno Stato forte, in grado di proteggere i più vulnerabili, in contrasto con una classe dirigente che continua ad agire tra un familismo amorale e logiche assistenzialiste, rendendo la vita molto complessa per i più deboli.

 

Il mio trasferimento in Svizzera: la mia esperienza

La scelta di trasferirmi in Svizzera e in particolare a Ginevra, è stata influenzata da diversi elementi. Nel 2021, durante il mio quarto anno di liceo, ho iniziato a dubitare che l’Italia potesse offrire si giovani possibilità concrete sia nella formazione sia per le successive opportunità che andassero oltre una mera e non sempre dignitosa sopravvivenza: ho quindi considerato che il mio percorso avrebbe dovuto includere almeno un periodo di studi all’estero. Così, anche dopo un confronto con mio fratello, che vive e lavora a Zurigo da anni, ho considerato per la prima volta questa possibilità e dopo un viaggio attraverso le principali città elvetiche nell’estate dello stesso anno, ho avuto un primo contatto con un sistema efficiente sia nell’organizzazione universitaria sia nelle possibilità offerte dal mercato del lavoro.

Lo Stato, in Svizzera, è davvero riuscito a garantire ai più la possibilità di raggiungere il benessere con importanti misure sociali ed economiche – come ad esempio il salario minimo – che permettono a quasi tutti una vita dignitosa. Non ho avuto bisogno di ulteriori spiegazioni per decidere di studiare a Ginevra: presa la decisione ho iniziato a imparare  e a parlare fluentemente il francese e a perfezionare l’inglese, requisiti richiesti dall’università. Mi sono poi attivato, con largo anticipo, a cercare casa, completare i dossier per l’immatricolazione e tutte le pratiche burocratiche necessarie per l’accesso.

In Svizzera ho scoperto che anche un Paese con una cultura liberale e protestante può avere uno stato sociale solido, accessibile e meritocratico, offrendo pari opportunità a tutti. La scelta di trasferirmi è stata dettata anche dalla curiosità di comprendere un meccanismo socio-economico nell’idea un giorno di replicarlo altrove con lo stesso successo. I politici svizzeri sono considerati “dipendenti del popolo”, non sono percepiti come esseri “superiori” e capita di trovarli spesso sul treno come dei normalissimi impiegati statali. Inoltre, non fanno della politica la loro principale fonte di reddito: piuttosto decidono di consacrare alla cosa pubblica un periodo della loro vita, per poi ritirarsi dopo aver contribuito al benessere generale della propria nazione.

Il sistema universitario svizzero poi è considerato il migliore al mondo, secondo le ultime stime Quacquerelli Symonds 2023. Una formazione di qualità garantita pur tenendo conto della massima attenzione verso lo studente: dall’accesso senza test d’ingresso, che garantisce a tutti le stesse possibilità, a una serie di incentivi, come un costo limitato delle tasse universitarie, facilmente rimborsabili su richiesta. Anche le case per studenti e le mense universitarie si mantengono su prezzi tre volte più bassi rispetto al mercato locale: una grande dimostrazione di stato sociale efficiente. Si prendono poi concrete misure che possano evitare il rischio di ingolfare il sistema universitario e il mercato del lavoro: la disoccupazione giovanile in Svizzera è oggi al 2%, contro il 21,3% del nostro Paese.

Il contesto sociale svizzero è diversificato, dinamico e pieno di sensibilità diverse, soprattutto nelle grandi città: ciò permette di arricchire significativamente il proprio bagaglio culturale e di conoscenze. Certo in Italia, il mio percorso di studi, sebbene di cruciale importanza per la società, è spesso considerato secondario, soprattutto nel Mezzogiorno. Questa visione, quest’atteggiamento ha di certo contribuito a favorire l’ascesa di una classe politica arrogante e impreparata, che poco sa delle responsabilità del potere il cui unico obiettivo deve essere l’identità collettiva. Al contrario, lo stato elvetico valorizza e prepara i futuri amministratori e diplomatici, riconoscendo l’importanza di tali ruoli per il benessere sociale ed economico di tutti. Infatti, un bravo amministratore può salvare migliaia di persone dalla povertà, proprio come un medico può salvare molte vite. E senza cadere in una banale retorica anacronistica, sappiamo tutti molto bene come ancora oggi l’immobilismo politico nel meridione e non di meno in Irpinia ostacola la crescita di giovani ambiziosi e volenterosi, mentre le vecchie figure continuano a bloccare le opportunità per le nuove risorse, spingendo molti a rinunciare alle proprie radici non senza frustrazioni.

 

La necessità di un’inversione di rotta

L’ascensore sociale in Italia è bloccato da decenni e la disuguaglianza economica persiste: se nasci povero, probabilmente morirai povero, anche se sei geniale e ambizioso. Il sistema fiscale gravoso colpisce il ceto medio e non ne permette l’emancipazione: lo Stato impedisce ai talenti di raggiungere il successo materiale a discapito dei super ricchi che pagano una percentuale d’imposta pressoché identica. Il mercato del lavoro italiano è saturo in molti settori e ciò consente ai datori di lavoro di dettare le regole: mancano ancora nel 2023 opportunità e misure sociali adeguate, come il salario minimo legale.

Il mio primo anno passato all’estero mi ha arricchito in termini di studio, esperienza lavorativa e sociale: le prospettive offerte da un Paese stabile sono molto più promettenti, offrendo in prospettiva ai professionisti di realizzarsi appieno all’interno della società. Questo spiega perché sempre più persone lasciano l’Italia per cercare di realizzare il proprio futuro in Svizzera così come in Inghilterra, Germania e Paesi Bassi. Dovremmo riflettere su queste dinamiche anziché speculare su di esse, per invertire la rotta e permettere alle prossime generazioni di poter scegliere di restare.


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