Il Terremoto 40 anni dopo. Matarazzo: la solidarietà vinse la tragedia. La ricostruzione? Non è stata sbagliata – IL CIRIACO

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La legittima soddisfazione per aver realizzato qualcosa di utile e duraturo per la città viene decisamente mitigata dal ricordo delle grandi sofferenze e delle condizioni di estremo disagio nel quale quella terribile scossa avevano precipitato la città e la provincia, soprattutto l’Alta Irpinia. A quarant’anni di distanze quelle immagini sono ancora vive nella memoria di Antonio Matarazzo, sindaco della città, dal marzo dal marzo del 1981 quando si manifestarono i problemi di salute di Giovanni Pionati. «In quel momento – dice – il gruppo della Dc decise che dovessi essere io a sostituirlo. In qualche occasione ho avuto modo di dire che mi sentivo un po’ come l’uomo della panchina che entra e salva la sua squadra, un po’ come fece Venturini nel maggio dell’81», nell’indimenticabile salvezza conquistata partendo da meno cinque.

Cosa ricorda di quella sera?

«Una scossa interminabile ed una città impazzita. Si correva da una parte all’altra e lo stesso feci anche io perché mi trovavo a casa della mia fidanzata a Torelli di Mercogliano e cercai di raggiungere prima possibile via Tagliamento per vedere come stavano i miei familiari. E poi ci fu una sempre maggiore consapevolezza degli ingenti danni subiti e dei tanti morti in città, soprattutto nella zona di via Generale Cascino».

Una emergenza che definire grande è un eufemismo e che lei visse in prima persona, da sindaco…

«Era il marzo del 1981 ed eravamo nel pieno dell’emergenza con centinaia di senzatetto e le scuole chiuse che stavamo cercando di far ripartire. Era un periodo drammatico e mi ricordo che si lavorava senza soste, giorno e notte».

Nonostante le forti contrapposizioni politiche non mancò la solidarietà…

«Assolutamente si. L’amministrazione si reggeva sul pentapartito, ma da quel momento la conferenza dei capigruppo cominciò a riunirsi con cadenza settimanale e divenne l’organismo che dettava il canovaccio delle cose da fare. Si creò un clima di grande solidarietà tra maggioranza e opposizione, senza fare battaglie. Mi ricordo la condivisione unanime che accompagnò la decisione di sistemare nelle casette provvisorie, quelle di legno realizzate dalla ditta Caso, a Campo Genova 600 persone e lo spostamento degli artigiani a piazzetta Santa Rita nei prefabbricati in ferro realizzati da De Santis. Due delle decisioni più importanti prese in quei primi mesi di emergenza nei quali il sottoscritto, da presidente della Gti (la Gestione Trasporti dell’epoca ndr) mise a disposizione dei pullman per consentire ai senzatetto di poter dormire. Ma la solidarietà fu internazionale. I soccorsi cominciarono ad arrivare in ritardo ma ogni parte: Stati Uniti, Canada, Australia e con questio aiuti riuscimmo a costruire strutture nuove e ricostruire quelle esistenti».

Alcune delle quali sono ancora oggi oggetto di polemica…

«Beh, noi ponemmo la prima prima pietra della prima opera pubblica: il Mercatone. In origine avrebbe dovuto essere semplicemente la nuova destinazione dei commercianti di Piazza del Popolo, temporaneamente allocati a Piazza Kennedy. Poi si è progressivamente allargata diventando una stortura per la città con un costo esorbitante e senza poter essere destinata alla sua funzione originaria».

Mercatone a parte, qual è il suo giudizio sulla ricostruzione?

«Guardi, diciamoci la verità: non è vero che è stato tutto sbagliato. Certo, qualcosa poteva essere fatto meglio ma la ricostruzione del patrimonio abitativo è stato un fatto assolutamente positivo. Sicuramente si sarebbe potuto fare di meglio per quello che riguarda le infrastrutture e la scelta delle industrie da localizzare nell’area del Cratere, ma non si può negare che Avellino e l’Irpinia furono sommerse di denaro grazie al quale riuscimmo a realizzare delle cose buone che, a mio avviso, sono la maggioranza».

Quindi il suo giudizio sulla classe dirigente dell’epoca non può che essere positivo…

«Ovviamente. Se non avessimo avuto quella classe dirigente non ci sarebbero state quelle leggi che consentirono l’afflusso dei finanziamenti grazie ai quali furono portate a termine alcune operazioni, come l’acquisto degli alloggi da destinare ai senzatetto, che ebbero un apprezzamento generale».

E qualche lato oscuro? Ci deve pur essere…

«Certo. Le ho detto della prefabbricazione industriale che ha danneggiato anche la città. Una vicenda che, mio malgrado, mi ha visto anche protagonista perché i giudici pensavano che noi avessimo le chiavi della questione mentre noi non ne eravamo nemmeno a conoscenza. Mi ricordo che fu impedito ai costruttori della città di realizzare degli appartamenti perché fu detto che la legge impediva il finanziamento per costruzioni definitive. Sono convinto che il Parlamento avrebbe potuto modificare quella legge, ma in realtà pensavano che questo avrebbe favorito chissà quali interessi. E’ stata una iattura perché abbiamo consentito a chi arrivava dal Nord di trarre beneficio dai più grandi appalti mai esistiti nel Mezzogiorno».

Nel calderone finirono un po’ tutti e forse questo fece passare un secondo piano gli aspetti positivi…

«Se volessi passare in rassegna tutte le cose che sono passate nelle stanze della nostra amministrazione potremmo parlare a lungo, ma alcuni ricordi sono chiari: quello dell’accordo che la mia amministrazione sottoscrisse per la realizzazione del Conservatorio. In Prefettura alla presenza del Prefetto Caruso e del vice Sorvino, mi battei perché la nuova struttura non fosse molto diversa dalla precedente nel rispetto del quadro ambientale. E poi vorrei anche sottolineare che ero affiancato da una giunta di alto livello, fatta di professionisti di grande competenza come l’assessore Basagni grazie alla cui caparbietà sottoscrivemmo il contratto per la distribuzione del gas. Un contratto che ha resistito per decenni e non è mai stato interessato da vicende giudiziarie».

In molti hanno evidenziato una perdita della memoria collettiva di questa tragedia: secondo lei è davvero così?

«Non credo. Penso che le persone tendano a dimenticare le cose brutte e le disgrazie, cercano di liberare la mente dalle situazioni tragiche vissute dai loro genitori o da nonni, non penso ci sia la vocazione a dimenticare o lasciarsi la storia alle spalle».

 

 



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