Il declino di Salvini | Corriere dell’Irpinia

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Di Guido Bossa

Alle elezioni europee del 2019, cinque anni fa, la Lega con “Salvini premier” (così c’era scritto nel simbolo del partito) sbaragliò il campo ottenendo il 34,26% dei voti, dilagando da Nord a Sud, con risultati stupefacenti in regioni quali la Campania, la Puglia, la Sicilia, tradizionalmente oggetto dei sarcasmi se non degli insulti degli epigoni di Umberto Bossi. Erano tempi d’oro per il “Capitano” (così cominciavano a chiamarlo), che da un anno governava insieme ai Cinque stelle (18% e la metà dei seggi leghisti all’Eurocamera), mentre a Forza Italia e a Fratelli d’Italia restavano gli spiccioli. Si era votato a maggio, e tutti ricorderanno l’estate di fuoco di Salvini sulla spiaggia romagnola del Papeete, l’arrogante richiesta dei “pieni poteri”, il secco no di Giuseppe Conte con l’umiliazione di una requisitoria in pieno Senato, la crisi di governo e la Lega fuori dal nuovo esecutivo Cinque stelle-Pd poi travolto dal Covid. Il declino, cominciato allora, si sta per consumare e, a meno di miracoli, verrà certificato dalle urne dell’8-9 giugno. Salvini sembra aver messo le mani avanti quando, commentando il plebiscito ottenuto da Putin due settimane fa ha detto scaramanticamente: “Le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince che quando uno le perde…quando le perdo cerco di capire dove ho sbagliato e come far meglio la prossima volta”. Una battuta che non riuscirà ad esorcizzare quella che si prospetta come una resa dei conti, peraltro già preannunciata dal governatore del Veneto Luca Zaia, uno che le elezioni le ha sempre vinte e che pur senza nominarlo ha accusato il segretario di essersi isolato nel partito e di averlo portato fuori strada. Ma come si è arrivati a questo rovescio? La critica di Zaia coglie nel vero quando denuncia lo snaturamento dell’identità della Lega che con Salvini ha preteso di diventare partito nazionale distaccandosi dalle sue radici padane e trascurando gli interessi economici delle regioni del Nord che hanno visto i mercati europei sospettare per l’insistente e fastidiosa polemica contro le ragioni di Bruxelles. Contraddizioni che si pagano, come ha bencapito Giorgia Meloni che, partendo da una posizione molto più “sovranista”, appena sbarcata al governo si è resa conto che per farsi spazio fra colleghi dalle spalle robuste come i tedeschi e i francesi avrebbe dovuto cambiare rotta e convergere verso il centro. Ora l’ultima spiaggia per Salvini sembra essere il tentativo di recuperare qualche voto fra gli elettori di destra delusi dalla svolta moderata di Meloni: di qui la convocazione a Roma del fior fiore dei leader euroscettici. Con risultati però inferiori alle attese: dopo le elezioni si aprirà la partita della nomina dei Commissari europei, e lì la prima battuta spetta ai governi; per l’Italia a Meloni. Insomma, se continua così, per Salvini potrebbe non esserci una “prossima volta” da segretario. Lo ha sentenziato il vecchio Bossi confidandosi con i suoi fedelissimi, che lo hanno spifferato al “Corriere della Sera”: “Ha fatto diventare la Lega un partito di estrema destra, proprio mentre al governo c’è Giorgia Meloni che ha il simbolo della Fiamma. Ma tra la copia e l’originale chi vuoi che voti la gente?”


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