Il Covid sta cancellando una generazione, anche in Irpinia – IL CIRIACO

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di Giovanni Marino

 Non  è scritto da alcuna parte che il destino di questa nostra Irpinia a seguito della pandemia  debba essere quello di  scontare una nuova  marginalità. Ne potremmo uscire con una nuova socialità che potrebbe nascere solo da una nuova idea di memoria collettiva,  ripartire da quanto di quanto di “buono” abbiamo dietro le spalle. L’idea di memoria collettiva di cui abbiamo bisogno  non ha niente da  spartire con una concezione nostalgica e reazionaria. Non servono comportamenti infarciti di “miopie sociali” di fronte alla necessità di dare un futuro, una prospettiva certa ai giovani, alla intera  collettività. Sarebbe ora di prenderne atto. Quando scoppia una catastrofe, all’inizio prevalgono sentimenti di solidarietà. Ma gli effetti  positivi non durano a lungo. Il terremoto del 1980 docet.  Questa pandemia sta mettendo a dura prova ogni piccolo paese della provincia di Avellino: migliaia i contagiati e soprattutto la dolorosa scomparsa di decine di anziani. Quando finiranno questi giorni tristi, anche  l’Irpinia avrà meno Storia, quella scritta dai nostri anziani spesso umili ma onesti. Quella scritta da chi ha lavorato  con tanti sacrifici,  con pazienza e tenacia. Saremo più poveri di Memoria Storica e del significato vero di Comunità. A Nusco la recente scomparsa dei due anziani  Mottola Stefanina (87 anni)  e Alessandro Matteo  (92 anni) ha  addolorato un intero paese. Nei lunghi anni di  impegno politico, ho conosciuto bene “zi’ Sanduccio Matteo”, gran lavoratore della terra, impegnano socialmente e politicamente- come nelle elezioni amministrative del 1964 e 1985, ma soprattutto  uomo gioioso,  coraggioso e di profonda fede evangelica. Sono rimasto molto colpito dalle parole  di Valeria Della Polla  sua nipote. Nelle suoi pensieri dedicati al nonno vi sono radici e legami che danno speranza a questa nostra tormentata esistenza. Valeria ha scritto:

“Penso che oltre al mio fratellino, un po’ tutti i cuginetti ricordino nonno Alessandro così: sul trattore. Sempre alla carica, insomma. Un uomo inarrestabile: ha lavorato tutta la sua vita, senza smettere mai. Anche quando non stava bene, anche quando era stanco e l’età avanzava… Lui non mollava!  Vedeva sempre qualcosa da fare: persino domenica scorsa lo ha ribadito. Il suo occhio era sempre attento e vigile. Le sue mani sempre pronte a mettersi all’opera. Diceva sempre “à nonno, chi si ferma è perduto!” E lui era proprio così: nonno non si è mai fermato. Un carattere forte, non si arrendeva mai. E la cosa forse più piacevole di questi giorni è stato riviverlo nei racconti commossi della gente: (ri)scoprire che le sue lotte andavano oltre l’orticello. Il suo impegno per la comunità, non soltanto politico. La salvaguardia per il suo territorio: la Valle dell’Ofanto, che ha rischiato di essere deturpata per ben due volte. La sua emancipazione sociale, partendo quasi da nulla per poi affermarsi sempre più e realizzare il suo sogno. Il suo sentirsi parte di una collettività. E tante altre cose che hanno lasciato un bel segno. In questi giorni di straziante solitudine e dolore indicibile, sono stato tanta consolata dai ricordi di nonno: non soltanto miei, ma anche quelli di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo da giovane. La cosa bella è che quasi tutti quando cominciano a descriverlo usano la parola “allegria”. E nonno era proprio così: un uomo do sempre allegro. Col sorrisone sotto i baffi. E le sue belle scocche rosse. Sempre pronto a condividere le sue storie, la sua gioia con gli altri. Mi avete raccontato della sua saggezza, della sua generosità. Del suo essere uomo d’onore: perché le parole pronunciate andavano poi realizzate. Per nonno una stretta di mano contava molto di più di qualsiasi documento firmato. Eppure era bravo a ragionare, a fare i calcoli. Aveva una bella mente matematica, nonostante non avesse avuto grandi possibilità scolastiche. Eppure, ha raggiunto grandi numeri, lavorando da solo insieme. Nonno ha lasciato una numerosa famiglia, a cui ha sempre dimostrato il suo amore e la sua pazienza. Tutti lo potevano chiamare papà: anche generi e nuore. E per tanto altra gente era semplicemente  “il caro zi’ Sanduccio” che ora riposa tra le  braccia del suo amato Signore”.



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