Il comunista aristocratico | Corriere dell’Irpinia

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Di Andrea Covotta

Le istituzioni e il partito comunista sono questi i due fili legati tra di loro, lungo i quali si è mosso il cammino politico di Giorgio Napolitano scomparso la settimana scorsa a 98 anni. Considerato una sorta di aristocratico, figlio di un grande avvocato liberale, con il padre ha una doppia rottura. La prima politica perché sceglie il comunismo, l’altra professionale perché non segue le orme paterne. In un’intervista concessa allo storico Eric Hobsbawm nel 1975, e pubblicata da Laterza, Napolitano descrive così la sua adesione al Partito comunista: “Napoli era la città in cui confluivano tutti gli elementi della disgregazione e della arretratezza meridionale, e particolarmente spaventose erano le rovine, le devastazioni provocate dalla guerra. Ebbene, il Pci apparve a tanti di noi come la forza che più potesse assicurare un rinnovamento radicale, che più potesse portare avanti nel Mezzogiorno un’opera di risanamento e redenzione sociale”. Napolitano è cresciuto a Via Chiaia nel pieno centro del capoluogo partenopeo e ha scelto di aderire al partito della classe operaia senza però rinunciare alla Napoli degli intellettuali, è amico, ad esempio, di Giuseppe Patroni Griffi, Raffaele La Capria e di Francesco Rosi. Attraversa tutta la storia del Pci dal dopoguerra fino alla caduta del Muro di Berlino che cambierà il corso del partito comunista trasformandolo nel partito democratico della sinistra. Da dirigente importante del Pci era convinto che bisognava staccare il partito dal mito della rivoluzione sovietica e ancorarlo alla socialdemocrazia europea. Con Napolitano alla guida forse il processo di distacco da Mosca poteva arrivare prima e lo dimostrano i giorni tragici del caso Moro. In quel drammatico 1978 Napolitano tiene i rapporti con gli americani e non con i sovietici. E’ il primo dirigente comunista a recarsi negli Usa. Incontra professori e studenti dell’Università di Yale, le altre tappe sono New York e Washington con esponenti del mondo economico, accademico e giornalistico. Nessun colloquio con i componenti del Congresso o dell’amministrazione americana ma un pranzo in suo onore dato dall’ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti. Nel suo soggiorno, dal 4 al 19 aprile 1978, Napolitano cerca di far comprendere agli americani il percorso che sta compiendo il Pci, il suo approdo all’eurocomunismo e illustra l’idea del compromesso storico. Negli stessi giorni Aldo Moro si trova nel covo delle Br, rapito da poco più di due settimane. Scriverà Napolitano, nel maggio seguente, su Rinascita (in un articolo intitolato Il Pci spiegato agli americani): “È comunque un fatto che si è acceso un interesse verso il partito comunista, che si sono aperti canali di comunicazione e di confronto. Bisogna percorrerli, anche se il cammino non sarà semplice”. Quel cammino si compie anni dopo quando Napolitano è Capo dello Stato e riceve al Quirinale il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama che lo definisce un “caro amico”. Un colloquio senza l’ausilio di interpreti perché Napolitano parla un ottimo inglese e si conferma un figlio molto particolare del Pci, del resto al Pentagono già nel 1978 lo avevano definito “pinker than red”.


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