Generoso Picone, un intellettuale con l’Irpinia nel cuore

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Come nasce in lei la passione per il giornalismo?

“Nasce in età scolastica, ma è dovuta al fatto di essere un appassionato lettore di giornali. Ho avuto la fortuna di avere mio padre, che oltre essere un dirigente del Ministero del Tesoro aveva questa passione per il giornalismo e fu uno dei primi iscritti all’albo dei pubblicisti, insieme al prof. Fausto Grimaldi. E’ stato il primo Presidente dell’Avellino Calcio e fu tra i giovani che nel 1944 costruirono lo stadio di Piazza d’Armi, a 22 anni. Scriveva sul Corriere dell’Irpinia e coltivava amicizie con giovani giornalisti, come Antonio Aurigemma e Biagio Agnes, che poi torneranno dopo nella storia della mia formazione giornalistica. Mio padre praticò il giornalismo sportivo e divenne corrispondente della Gazzetta dello Sport di Avellino, prima di Pompilio Pirone, negli anni ’50. Vivendo in una famglia di questo tipo sono stato favorito nella mia crescita professionale e giornalistica. Il mio primo articolo risale alla morte del noto calciatore del Torino Gigi Meroni. Costruii a scuola in modo molto artigianale, per questa occasione, una testata intitolata Il Menabò, copia unica fatta soltanto per me, in cui raccontavo la morte di questo personaggio epico, eccentrico rispetto agli altri calciatori, che era un artista, dipingeva e andava in campo con i famosi calzettoni abbassati, che fecero scalpore. Ho studiato ad Avellino, al liceo classico Colletta, importante luogo di formazione culturale, ma anche politica. Nel 1973 mi iscrissi al PCI. Mio padre era socialista e la mia casa era frequentata da molti amici socialisti, quali Manlio Rossi Doria, il Senatore Franco Iannelli, il Senatore Modestino Acone che ha accompagnato la mia infanzia, Antonio Bellizzi, Pietro Nenni… quel mondo lì!

Al liceo un modo di fare politica era anche quello di fare giornalismo, cosi nel 1976 cominciai a collaborare con le testate della sinistra avellinesi e nel 1978 iniziai ad andare alla prima emittente avellinese Radio Avellino e poi siccome abitavo nello stesso palazzo di Nacchettino Aurigemma alla fine cominciai a collaborare a Il Mattino, a partire dall’ottobre del 1978, come “abusivo”, cioè venivo pagato per ogni “pezzo” che scrivevo. Nel 1980, una settimana dopo il terremoto, mi laureai in Filosofia con il prof. Luciano Pellicani all’Università Federico II di Napoli e il presidente della Commissione era Aldo Masullo. Dopodichè fui assunto da Il Mattino di Avellino, dove rimasi fino all’1983, poi andai a Napoli, dove fui chiamato in Cronaca e dove rimasi per 25 anni, poi passai agli Spettacoli, poi ho lavorato a lungo alla Cultura, fino a diventare capo della Redazione Cultura, poi capo della Redazione Politica, poi nel 2009 per una mia scelta chiesi di tornare ad Avellino e sono stato Responsabile della Redazione di Avellino fino al 2018 e poi sono andato in pensione. Conservo un contratto di collaborazione con il giornale, per cui il mio rapporto con il Mattino continua, seppure in forma diversa. L’inizio della mia attività giornalistica sul fronte è coinciso con il terremoto del 1980 e lì è stata la vera scuola di formazione“.

In questa nostra provincia, attraverso il suo rapporto professionale con il leader di Nusco, ad un anno della sua dipartita, quale idea si è fatto dell’insegnamento che Ciriaco De Mita ha lasciato, soprattutto in Irpinia?

Io ho conosciuto De Mita da prima del 2009, in occasioni professionali e devo dire che, non essendo mai stato democristiano, il rapporto professionale con lui era molto difficile, perchè il suo “dire”, il suo raccontare di politica, presupponeva un ascolto molto attento  e anche una notevole capacità di decriptare i suoi proverbiali anacoluti, ma devo dire che è stato sicuramente un personaggio politico, che ti consegnava un sapere, una cultura politica di spessore- La frequentazione giornalistica poi scaturiva, un pò come con Agnelli, in una frequentazione personale, perchè De Mita aveva l’abitudine di telefonare presto la mattina e fare lunghe chiacchierate e io sono molto contento di aver avuto ad Avellino un interlocutore con cui parlare di politica di un alto livello. Alla storia della ricostruzione post terremoto ho dedicato il mio ultimo libro che è uscito nel 2020 per il quarantennale del Sisma in Irpinia, Paesaggio con rovina.

Irpinia, un terremoto infinto – edito da Mondadori, in cui racconto in prima persona come quegli anni sono stati segnati da un sistema di potere che si è fondato su una interpretazione del tema della gratitudine, per diventare una sorta di sistema dipotere  che si è declinato nella clientela e nel rapporto personale, dove avveniva lo scambio tra diritti e doveri, nel quale il diritto ad avere qualcosa diventava una sorta di offerta che il politico di turno dava. E’ sbagliato immaginare che sia stato solo per De Mita, ma bensì è stata un’idea di potere locale, pratica diffusa in tutta l’Italia,  qui al Sud forse vissuto in maniera più intensa, perchè l’abbiamo colto in momento tragico della nostra storia, quello della ricostruzione, caratterizzato da un rapporto con il cittadino mediato molto dalla politica, fino a contrabbandare diritti acquisiti per prebende e opportunità. Ma non si può non collocare De Mita nella storia della politica e del cattolicesimo democratico italiano a livello nazionale, come un personaggio che ha interpretato l’ansia di riforme che è un tema che dal discorso dei Benevento degli anni 70  a oggi è ancora di grande attualità. L’ipotesi politica di De Mita e di Moro di quegli anni era mirata ad allargare il campo politico e a portarci gradualmente ad una democrazia compiuta, creando una possibilità reale di un’alternanza non conflittuale, ma competitiva nella gestione del potere.  A questa aderì anche il PCI di Berlinguer, ma la matrice di questa ipotesi si è persa proprio sulle macerie del terremoto e la seconda svolta di Salerno del 1981, quando Berlinguer ruppe questo tipo di patto, e dalle grandi intese a carattere nazionale si è passato alla democrazia dell’alternanza e poi purtroppo alla fine della cultura politica, che alimentava i grandi partiti rinati dopo la Resistenza cioè i popolari, quali Democrazia Cristiana,  Partito Socialista, Partito Comunista ecc ad un discorso politico sempre più degradato“.

Cosa ci può dire dello sviluppo delle aree interne dell’Irpinia?

L’unico progetto di sviluppo delle aree interne del Mezzogiorno fu elaborato da parte di un governo di centro sinistra, che si chiamò Progetto 21 con il Ministro Giolitti, ad opera del Sottosegretario Giorgio Ruffolo, noto economista di valore internazionale, che negli anni ’70 poneva la questione della destinazione dell’Irpinia, cioè se dovesse avere uno sviluppo agricolo o uno sviluppo industriale, con un sistema di infrastrutture a servizio dell’una o dell’altra ipotesi di lavoro e su questo tema ci fu un’aspra battaglia politica e la stessa si alimentò di un’attenzione allo sviluppo oggi inimmaginabile, ma allora dagli anni ’70 fino a prima, ma anche dopo il terremoto cioè negli anni che portarono il primo insediamento della Fiat in valle Ufita è stata l’ultima possibilità, a ben guardare, in cui l’Irpinia si trovava a ragionare del proprio destino.

Poi arrivò il terremoto e l’attenzione si spostò sulla ricostruzione, ma in quegli anni ci furono due testi fondamentali che furono dimenticati dalle politiche della ricostruzione: il saggio di Manlio Rossi Doria, che è uno studio sullo sviluppo delle aree interne del dicembre dell’80 con il gruppo di lavoro dell’Università di Portici e tutti coloro che blaterano oggi di uno sviluppo agroalimentare in Irpinia  non hanno mai letto quel tipo di studio scientifico e ancora nel dicembre dell’80 si svolse ad Avellino un convegno sulla ricostruzione, organizzato dall’Istituto Gramsci, chiuso da Berlinguer, con la partecipazione dei massimi esponenti dell’intelligenza di sinistra in Italia, dall’urbanistica all’economia, passando per la letteratura, fino agli studi classici, come Antonio La Penna, da cui scaturi un volume contenente la raccolta degli atti del convegno. Se questa raccolta  fosse stata solo consultata da tutti coloro, che hanno poi lavorato alla ricostruzione dell’Irpinia, questo ci avrebbe portato una diversa Irpinia oggi.

L’Irpinia ha avuto quindi delle grandi occasioni per essere diversa da quella che è; l’ultima grande occasione è stata quella della ricostruzione, in cui io non ho nessuna difficoltà a dire che il gruppo dirigente della Democrazia Cristiana di allora investì anche un’ansia importante: De Mita, Mancino, De Vito, Bianco hanno fatto quello che immaginavano di fare e io non dico che hanno fatto poco, probabilmente potevano fare molto meglio, se la loro azione politica si fosse nutrita almeno delle competenze, contenute in questi due volumetti. Ora raccontare dell’Irpinia del dopo terremoto ad oggi significa raccontare una provincia ricostruita, la cui ricostruzione paradossalmente viene invidiata dall’Aquila , da Amatrice perchè con il sisma dell’Irpinia è l’ultima volta che in Italia si è avuta una legge sul terremoto. In Italia, che è un paese colpito dai terremoti ad ogni pendolo di orologio non vi è ancora una legge che badi all’assetto e alla sicurezza sismica del territorio, con un piano nazionale di sicurezza antisismica che dia a tutti coloro che sono colpiti dal territorio una possibilità concreta di poter ricostruire. Oggi chi è colpito dal terremoti, dall’Emilia all’Aquila non ha occasioni se non parziali di ricostruire. Questo è perchè un paese come il nostro non ha memoria di quello che è avvenuto. Se continiamo a non pensare a politiche di prospettive, ma solo a politiche dell’oggi e del domani questi saranno sempre gli scenari e i vari bonus antisisma per i singoli interventi di un palazzo si e magari quello a fianco no, non sono stati altro che un’occasione mancata, perchè invece si potevano impiegare i soldi dei bonus per finanziare una legge antisismica che riguardasse tutto il territorio nazionale“.

Cosa ne pensa dell’irpino Fiorentino Sullo, altro grande e storico esponente della Democrazia Cristiana?

Senza dubbio bisogna riconoscere a Fiorentino Sullo il suo grande valore soprattutto come Ministro dei Lavori Pubblici, dove tutti gli riconoscono di essere stato Ministro di grande modernità, fortemente illuminato,  per la riforma urbanistica della Legge 18 Aprile 1962 N. 167, atta a favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare, giacchè l’unico Piano Urbanistico Nazionale allora e ancora oggi vigente è la Legge 17 Agosto 1942 n. 1150. Come Ministro della Pubblica Istruzione si imbattè nel 1968 nel periodo della contestazione giovanile e anche qui la sua riforma per gli esami di stato ebbe una sua validità, ma già i “palazzinari” e alcuni esponenti di spicco del suo stesso partito, unitamente al giornale di destra “Il Borghese” gli aizzarono contro una campagna di stampa per fermare la Legge urbanistica“.

Cos’è per lei l’Irpinia?

L’Irpinia è la mia terra natia, alla quale sono legato naturalmente per ragioni anagrafiche e affettive, ma sono molto arrabbiato per l’Irpinia: avrebbe potuto essere molto diversa da quello che è. Io sono molto legato all’Irpinia, perchè nonostante tutto sono rimasto qui, ma provo per lei quel “poetico litigio”, che provava Raffaele La Capria per Napoli;  trasportato da un’idea di grande amore anelavo ad un’Irpinia come laboratorio di un nuovo modo di vivere, per costruire un progetto di vita, se non fosse altro per le dimensioni quantitative del territorio e questa negli anni ’90 fu una grande occasione perduta.

Per le prossime elezioni amministrative alcuni di noi ci siamo messi in campo con l’Associazione Controvento e poi abbiamo realizzato una coalizione di centro sinistra, che va dal PD alle Associazioni, passando per i 5 Stelle e a altre forze di sinistra perchè per noi mai Avellino è arrivata a un livello di incosistenza sostanziale, come se in questa città si fossero incrociate due tipi di tendenze: una a carattere nazionale, con la mortificazione di alcuni valori in cui avevamo creduto, tra cui la competenza, il merito, la progettualità e la visione prospettica, il tutto consumato dalle istanze populistiche. che si è incrociata con la tendenza tipicamente avellinese di una cattiva politica, che ha attraversato le amministrazioni locali. Festa è stato già amministratore dagli inizi degli anni duemila, come Vice-Sindaco e Assessore all’Ambiente, giunte che non hanno brillato per il lavoro compiuto, finalizzato a dare alla città uan dimensione diversa.

Oggi Avellino è solo un posto dove si viene a vivere unicamente perchè è meno caotica, leggermente meno inquinata, rischiando di diventare un condominio, più o meno sereno dell’area metropolitana campana. Oggi la Campania vive un bipolarismo forte con un’area metropolitana napoletana, che ormai ha completamente inglobato Caserta da una parte e dall’altra un’area metropolitana salernitana, che anche per  competizione municipale diventa un’alternativa a Napoli. In mezzo le aree interne hanno perso ogni senso, mentre invece una vera e saggia pianificazione territoriale non può non tenere conto della valore delle aree interne dell’Irpinia e del Sannio. Se si vuole pianificare la Campania si deve definire un assetto territoriale che sia equilibrato, le aree interne debbono svolgere un ruolo e  in questa partita Avellino non c’è, è scomparsa completamente. Il polo logistico Irpinia Sannio è nato nel 2009 e se l’Irpinia oggi si aggrappa per il proprio futuro ad un progetto cosi retrodatato, significa che non ha maturato in tutti questi anni altri progetti significativi. L’Irpinia si è assefuatta a questa dimensione di irrelevanza, in cui anche le amministrazioni come quella di Festa svolgono un ruolo, ma ponendo possibilità che sono risibili e la città non ha più un senso, nè questa amministrazione ha fatto in modo di consegnarglielo“.

Rosa Bianco e Fiore Carullo


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