Commercio: dietro la mostra per Massimo, il nulla

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Di Franco Festa

Ogni tanto la città mostra segnali di aggregazione importanti. La mostra organizzata dal “Centro Storico Social District” per ricordare il fotografo Massimo D’Argenio, figura importantissima di via Nappi, portato via dal Covid nel novembre 2020, è stata uno di questi segni. Tante belle foto di Massimo sono state esposte in tutte le vetrine dello ”Stretto”, luogo una volta così caro al cuore degli avellinesi e ora emarginato da folli scelte che l’hanno chiuso in una morsa di solitudine. E’ stato un momento toccante non solo per ricordare una figura così vivace e fortemente legata a quella strada e a tutto il centro storico, ma anche per dare un segno di un possibile respiro unitario tra operatori del commercio di uno stesso posto. E’ chiaro a tutti, però, che solo la riqualificazione della Dogana, il più importante monumento della città, può segnare il rilancio forte di tutta la zona. E il fatto che ciò non sia ancora avvenuto, con tutti i fondi disponibili, è davvero delittuoso. Ma torniamo al presente e alla luce che quella mostra di foto ha riacceso. La prima cosa da sottolineare è che è stata una iniziativa partita dal basso, inutile attendersi da un inesistente assessore al ramo qualche idea che vada oltre il frastuono delle sere estive in quell’area. Ma non è solo su via Nappi che esiste un vuoto progettuale. Tutta la struttura commerciale della città è in crisi, accentuata dal periodo del Covid che ha costretto tante piccole strutture a chiudere definitivamente. Anche al Corso, una volta orgoglio non solo cittadino ma di tutta la Campania per la qualità, la serietà, la preparazione, la gentilezza dei commercianti, ora è il far west a prevalere, dopo che uno degli ultimi avellinesi “veraci” nel settore, Nicola Guarino, ha chiuso i battenti del suo negozio di camicie. Qualche brand nazionale di prestigio si alterna a negozi pittoreschi e misteriosi che aprono, chiudono, riaprono con altri nomi, quasi sempre di provenienza sconosciuta, o fin troppo conosciuta, ma certo non nel settore commerciale. E così è dappertutto. Lungo il viale dei platani (anzi, degli ex platani) diverse attività, quasi tutte nel settore dell’alimentazione, convivono fianco a fianco a negozi vuoti o abbandonati, mentre, nei quartieri periferici, poco o nulla resiste di stabile e di legato al territorio. Per non parlare, infine, di zone come quella intorno alla chiesa dei cappuccini, in cui il vuoto è la parola d’ordine, o della zona est, verso la ferrovia, ormai storicamente discriminata, nonostante gli scoppiettii di progetti faraonici che ogni tanto vengono sparati all’orizzonte. Insomma, siamo all’anno zero. L’unica idea di chi dirige il settore (“idea” è un termine eccessivo, proprio come “dirige”) è la fallimentare politica degli eventi, trappole luminosi per ingenui che alla fine nulla lasciano sul territorio. Il resto è il solito arrampicarsi ai vari progetti regionali, ai vari fondi disponibili dall’alto, per una diffusione a pioggia di contributi pubblici, che serve solo, al massimo, a conquistare consensi elettorali. Così una città che aveva prima nel commercio uno dei suoi punti di forza, un marchio di qualità, ora naviga a vista nella sua quotidiana agonia.


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