Cinque Stelle, il movimento che si è fatto partito: perché può essere un bene – IL CIRIACO

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Sono entrati da movimento e ne sono usciti da partito, con buona pace di chi non la pensa così. La due giorni del congresso (sui generis, ma cosi possiamo definire gli Stati Generali) dei Cinque Stelle ha ufficialmente completato la trasformazione, iniziata la sera del 4 marzo del 2018, della forza che aveva vinto quelle elezioni. Niente di cui preoccuparsi, ovviamente, certo fa specie che sia accaduto a coloro i quali, almeno ai tempi d’oro (e oramai preistoria) del “Vaffa” veniva l’orticaria solo a sentirla nominare la parola partito. E’ l’ennesimo contrappasso toccato in pegno ai “grillini”, almeno a ciò che rimane di quel Dna. Gli esempi sono molteplici: dal Parlamento da aprire come una scatola di tonno, ora diventato approdo sicuro da non lasciare (la questione del doppio mandato, infatti, è ben lungi dall’essere chiusa) a nessun costo anche se il prezzo da pagare è una giravolta dalla Lega al Pd. E poi le battaglie identitarie, No Tav, No Tap, sacrificate sull’altare della “realpolitik” e che hanno certamente costituito passaggi importanti della trasformazione dei Cinque Stelle. Certo, nessuno nega che qualche obiettivo sia stato raggiunto: il reddito di cittadinanza, l’abolizione dei vitalizi e il taglio del numero dei parlamentari. Si tratta di questioni sulle quali il M5S aveva costruito il suo edificio programmatico. Ma gli effetti prodotti sono davvero quelli sperati? Il Rdc ha indubbiamente aiutato molte persone in difficoltà ed è stata una misura di Welfare solidale, ma era stata pensata contestualmente all’avvio di una grande riforma del mercato del lavoro rimasta invece lettera morta. E così oggi, in alcuni casi, forse anche superiori a quanto è possibile tollerare, il Reddito di Cittadinanza ha assunto i contorni di una misura prettamente assistenziale che costa ma non produce e andrebbe quantomeno ricalibrata. Per quello che  riguarda i due provvedimenti di grande impatto popolare, non c’è dubbio che l’abolizione dei vitalizi sia in linea di principio una misura condivisibile ma che, ovviamente, è stata esposta al fuoco dei ricorsi e rischia di uscire depotenziata. Tutto da verificare poi, ma qui con aspettativa negativa, l’effetto del taglio della rappresentanza parlamentare sul fuinzionamento della macchina istituzionale e, soprattutto, sulla omogeneità della rappresentanza territoriale. La due giorni ha lasciato aperte questioni solo in apparenza formali (meccanismo di guida ad esempio) ed in sospeso argomenti di “polpa” politica (la natura strutturale o meno di un’alleanza con il Pd e la conferma di una corsa elettorale solitaria che con una legge proporzionale avrebbe poco a che fare) e tutto probabilmente si risolverà con una articolata mediazione chd terrà dentro le varie anime sotto l’egida dell’ala governista, rimandando i nodi veri a tempi migliori (alla fine dell’emergenza Covid). Ma che effetto avrà sui territori la trasformazione dei Cinque Stelle da movimento a partito? Diciamolo subito: può essere un bene e spieghiamo il perché. Il trionfo elettorale del 2018, tranne un posto al Pd tutto la deputazione irpina era targata Cinque Stelle, aveva sicuramente suscitato grandi aspettative oggi, anche questo detto con altrettanta franchezza, andate deluse. La deputazione, diminuita di una unità dopo il passaggio del senatore Grassi alla Lega, si è progressivamente allontanata dal territorio (le interrogazioni di Maraia su Irisbus, Frangipane e gestione della sanità, il lavoro della Pallini su ex Isochimica, ma poi ci fermiamo qui) e la “solitudine” dei candidati alle scorse regionali (evidente e confermata dai protagonisti seppure a microfoni spenti) ha rappresentato il punto massimo di questo scollamento. La ragione principale andrebbe ricercata nella mancanza di una classe dirigente diffusa sul territorio che avrebbe necessariamente comportato un impegno costante dei parlamentari con i riferimenti locali. E invece è proprio qui che si è fatta maggiormente sentire la distanza tra l’essere movimento, peraltro con grandi aderenze alla realtà virtuale, e l’essere partito con il confronto nelle sezioni, i congressi locali, le iniziative alla presenza dei parlamentari. Certo, l’arrivo del Covid ha stravolto tutto, ma nei primi due anni non c’è stata traccia di questa attività e la mancanza di amministratori locali che vivono la realtà dei consigli comunali (troppo breve e con numeri risicatissimi l’esperienza Ciampi nel capoluogo per poterne fare un esempio), delle assemblee negli enti di servizio o nelle comunità montane ha finito con l’indebolire progressivamente la presenza pentastellata sul territorio. La struttura sul modello di partito, invece, dovrebbe sicuramente favorire la crescita di questa classe dirigente, molto più di quanto non possa fare un click o un post sul blog delle stelle. Da questo punto di vista, in sostanza, la mutazione del M5S è qualcosa che potrebbe finanche tornare utile al futuro del Movimento. Anzi, del fu Movimento, oggi partito. E non c’è alcun motivo per gridare allo scandalo, può essere, e anche questo è un contrappasso, la via per rinnovare se stessi.



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