Bruno e l’Irpinia che verrà: velocizzare i processi e mettere le persone giuste al posto giusto – IL CIRIACO

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«Cosa serve all’Irpinia per ripartire? Persone giuste al posto giusto. Capacità, merito e spirito di appartenenza altrimenti restiamo fermi». Il presidente di Confindustria Pino Bruno a tutto campo sul post pandemia, infrastrutture, rifiuti e referendum.

 Le ricette che propone il Governo nazionale sono quelle giuste per portare un territorio come l’Irpinia fuori dagli effetti nefasti della pandemia?

«Dal punto di vita della comunicazione degli incentivi e delle opportunità previste dal Governo, non c’è nulla da dire. Il punto vero è tramutare gli annunci in realtà e farlo subito. Invece il tempo che passa per l’attuazione delle misure non è poco. La variabile più importante in questo momento è quella temporale che non può essere trascurata».

E rispetto al maxi piano da 1 miliardo di euro della Regione Campania?

«La Regione rispetto al mega piano da un miliardo ha mostrato grande efficienza perché le risorse previste, seppure a pioggia tramite piccoli incentivi, sono già arrivate nelle tasche dei beneficiari, dunque in tempi rapidi. Quello messo in campo è stato prova di grande celerità e capacità. Così come l’impegno a superare la fase di commissariamento della sanità, che ha rappresentato una vera e propria zavorra con cui la Regione ha dovuto viaggiare per lungo tempo. Ma bisogna fare il passo in avanti: l’auspicio è che la Regione possa lavorare in modo più snello, privilegiando l’attività di programmazione e di attuazione dei piani di sviluppo».

Infrastrutture e rifiuti. In questi cinque anni di governo regionale è migliorata la qualità di questi settori in Irpinia?

«Non solo non è migliorata, anzi se pensiamo alla vicenda rifiuti, possiamo dire che la condizione è addirittura peggiorata. Da anni paghiamo una multa giornaliera alla Comunità Europea per non aver realizzato gli impianti necessari al trattamento dei rifiuti. Questo produce oneri considerevoli che gravano sulle tasche dei cittadini. Ed è uno dei punti più dolenti, discutibili e di grande irresponsabilità da parte di chi aveva il dovere di attuare politiche adeguate in materia di rifiuti. Sulle infrastrutture si procede alla velocità di una lumaca. Anche in questo caso la variabile più importante è il tempo. E’ inconcepibile dover osservare ancora oggi la fiacca con cui procedono alcune opere già finanziate. Questo vale per le grandi opere come la Lioni Grottaminarda, ma anche per i piccoli interventi in contrade rurali. Logicamente questo significa che c’è inefficienza della pubblica amministrazione e incapacità dei burocrati, cioè dei responsabili dei procedimenti e degli staff coinvolti. E’ la filosofia del “tirare a campare”, di chi lavora tranquillo perché lo stipendio arriva comunque per lo scorrere del tempo e non per i risultati raggiunti. Basterebbe osservare come funziona in altre realtà dove invece di lavorare cinque giorni su sette, si lavora tutta la settimana chiaramente organizzando turni differenti. E’ il modus operandi nella gestioni lavori pubblici che va cambiato altrimenti competenza, passione e spirito di servizio non saranno mai protagonisti della realizzazione delle opere pubbliche».

A proposito di rifiuti, cosa pensa della questione biodigestore a Chianche?

«Non partecipo alla partita di chi è a favore o meno dell’impianto a Chianche. Dal mio punto di vista il problema non è la localizzazione dell’impianto. Il biodigestore è un sistema ecologico che trasforma l’umido, che è un prodotto naturale, in compost che diventa concime organico naturale straordinario per agricoltura, floricoltura e qualsiasi settore. Se un impianto è ben fatto e soprattutto ben gestito, sono convinto che con le tecnologie che ci sono oggi, non comporta alcun impatto ambientale né dal punto di vista del disturbo odorigeno, né sotto il profilo scientifico e tecnico. Il problema reale è che l’Ato ha dimostrato di non essere in grado di svolgere il ruolo per il quale è nato: da tre anni e mezzo è stato costituito il cda, hanno un direttore generale, ma pare che solo da qualche mese, in prossimità della scadenza elettorale, si siano svegliati dal letargo e addirittura cercano di scaricare responsabilità su altri. Tocca all’Ato rifiuti la competenza e la responsabilità sulla materia. Vorrei sapere, analiticamente, cosa è stato fatto in tre anni. Su questo sono pronto a confrontarmi anche pubblicamente».

Da dove bisogna iniziare per costruire anche in Irpinia occasioni di sviluppo reali?

«La priorità è la scelta degli uomini giusti al posto giusto. Persone che abbiano merito, competenza, reputazione, capacità, spirito di servizio e orgoglio di appartenenza. Persone che possono dare qualcosa al territorio che, a prescindere dal colore politico, non abbiano bisogno della politica per vivere.  Solo così si possono programmare attività che siano straordinarie per il rilancio di un territorio che merita, sia sotto il profilo delle opportunità che del territorio. Gli irpini sono persone perbene, laboriose ma la risposta deve arrivare adesso per schiacciare sull’acceleratore e conseguire i migliori obiettivi possibili nel minor tempo. Ci vogliono però le persone capaci di creare opportunità che siano reali per imprese e lavoratori. Purtroppo la nostra classe politica è di modesta caratura, anche ai livelli più alti della rappresentanza».

Il 20 e 21 settembre si voterà anche per il referendum sul taglio dei parlamentari. Lei è per il sì o per il no?

«Voterò no, senza se e senza ma. La motivazione è semplice: se passasse il sì ci sarebbe la certezza che territori come l’Irpinia, il Sannio, il Molise, la Lucania, ed anche altre zone interne d’Italia, che avrebbero bisogno di supporto ed attenzione, non sarebbero più rappresentante. Con il taglio di 345 deputati, si risparmierebbe solo il 7 per mille dell’attuale costo. Un risparmio di 50 milioni di euro, cifra rispettabilissima per carità, ma che per il bilancio dello Stato non è nulla rispetto al costo del funzionamento di Camera e Senato. A fronte di un risparmio pari quasi al nulla, ci sarebbe invece un danno incalcolabile, in termini di rappresentanza, nei confronti di molti territori che. Altra cosa invece era il referendum proposto da Renzi: se fosse passata quella riforma, l’Italia sarebbe oggi l’unico paese in Europa a poter invidiare la Germania. Invece, con il nostro bicameralismo, siamo ancora a dover attendere anni per trasformare un emendamento in proposta di legge e farla diventare operativa».



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