Avellino e la sua danza macabra

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Di Pino Bartoli

Gli operatori culturali sono influenzati dal mondo in cui vivono e tutti, anche i meno capaci, ma comunque intellettualmente onesti, sanno intuire come le cose evolveranno . Gli artisti, a differenza degli altri, hanno la capacità di farcelo anche vedere il mondo che verrà. I Futuristi, per primi, all’inizio del 900 non rappresentarono più la realtà ma la anticiparono. Grazie a Boccioni, a Balla , a Sant’Elia e a tutta una serie di personalità operanti in campi diversi, anche quello delle arti così dette minori, capimmo con molto anticipo che saremmo cresciuti nel mito della velocità, che avremmo visto le nostre città crescere in altezza, che avremmo avuto autostrade urbane progettate per attraversare palazzi altissimi e capimmo con anticipo come ci saremmo vestiti, la musica che avremmo ascoltato, i modi di dire che avremmo adottato. Ad averceli oggi. Chissà cosa avrebbero saputo produrre osservando, qui da noi, la progressiva scomparsa del verde monumentale, le scelte dissennate di una amministrazione che esiste solo per alimentare il contenzioso con altre istituzioni presenti sul territorio che, non brillano per intraprendenza e lungimiranza, ma trovano in questo contrasto continuo la ragione per comunicarci che esistono. Sarebbero ricorsi sicuramente alla rappresentazione di una Danza Macabra dove, tra consiglieri comunali in alta uniforme, giovani tatuati e impomatati si dimenano, sotto lo sguardo compiaciuto dei genitori che per loro hanno da poco ottenuto l’annullamento della decisione presa da docenti che avevano osato valutarli. Ballano intorno ai “focaroni di San Ciro” alimentati con il legno marcio degli alberi abbattuti, termine più appropriato di “tagliati” visto che si parla di esseri malati certo, ma ancora vivi; ballano sulle rovine della Dogana dei Caracciolo o dell’ingresso monumentale del Cimitero edifici che conoscono solo come rovine e che una volta erano il fiore all’occhiello di una città che, circondata dalle verdi colline, si presentava dignitosa e piacevole; non sarebbe mancata sullo sfondo la vista dei cadaveri dei pavidi oppositori appesi come cenci sporchi alla linea aerea della metropolitana leggera trovandole finalmente un motivo di utilizzo. Forse è per questo futuro che qualcuno guarda al passato prospettando edifici come il palazzo vescovile che potremmo definire “tardorinascimentale irpino di transizione” e monumenti equestri come quello pensato ad Ariano per Ruggiero II d’Altavilla che ricorda l’affresco quattrocentesco dedicato a Niccolò da Tolentino dipinto da Andrea del Castagno nella Basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze. E io? ”Io speriamo che me la cavo” ma continuo a consigliare ai miei ex alunni: “fujtevenne”. Nel frattempo sto organizzando un pellegrinaggio a Montevergine sulle note di “simmo juti e simmo venuti, quanta grazia che avimmo avuto”. Ahó, hai visto mai …


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