Sindrome della neve visiva: i sintomi e come si cura

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Immaginiamo di osservare il mondo attraverso una vecchia televisione, di quelle con il tubo catodico, quando il canale non era ben sintonizzato e sullo schermo compariva una moltitudine di puntini bianchi e neri intermittenti. Vede così chi soffre della sindrome della neve visiva (o “visual snow”), un fenomeno neurologico che è caratterizzato proprio dalla visione di numerosi puntini luminosi in movimento, somiglianti a una nevicata molto fitta, che si sovrappongono alle normali immagini. «Si tratta di una patologia poco conosciuta eppure non così rara, perché interessa il 2 per cento della popolazione», riferisce il dottor Michele Viana, specialista in Neurologia e dottore di ricerca in Neuroscienze.

Cos’è la sindrome della neve visiva

Questa patologia è stata descritta per la prima volta nel 2014 dal professor Peter Goadsby sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Brain: «Prima di quel momento, chi soffriva di sindrome della neve visiva veniva considerato “matto”, tossicodipendente o simulatore oppure, in tempi più recenti, poteva essere associato all’aura emicranica, mentre gli studi hanno escluso questo legame, visto che la “visual snow” è un disturbo persistente e non transitorio», racconta il dottor Viana. «Con questa patologia si può convivere sin dalla nascita oppure i disturbi possono comparire in un particolare momento della vita, che spesso coincide con un periodo di forte stress fisico o emotivo, dovuto per esempio a infezioni, traumi cranici, forti dolori o esposizione a intensi stimoli visivi».

Quali sono i sintomi delle sindrome della neve visiva

Il principale sintomo della “visual snow” è la visione di piccoli puntini intermittenti, solitamente di colore nero-grigio ma anche trasparenti, bianchi o colorati, che invadono l’intero campo visivo in maniera continua e persistente. «Oltre a questo disturbo, si associano altri sintomi, sempre di tipo visivo», avverte l’esperto.

«Per esempio può esserci palinopsia, una forma di illusione ottica dove le immagini persistono anche quando sono scomparse. Il disturbo può manifestarsi come “trailing”, quando gli oggetti in movimento lasciano una scia dopo il loro passaggio, o come “after image”, quando un’immagine persiste nello stesso punto del campo visivo dopo che è stata rimossa o dopo aver spostato lo sguardo».

L’81 per cento dei soggetti descrive anche la presenza di pulviscoli o mosche volanti, quei corpi mobili che gli oculisti definiscono come miodesopsie, mentre il 79 per cento manifesta il fenomeno entoptico del campo blu, che consiste nella visione di numerosi puntini o piccoli cerchi che si muovono rapidamente nel campo visivo per brevi traiettorie in maniera casuale e scompaiono nell’arco di un secondo o poco più.

«Ancora, la sindrome della neve visiva può essere accompagnata da fotopsia spontanea, ovvero dalla visione di flash e lampi di luce simili a fulmini che compaiono all’improvviso in assenza di un reale stimolo luminoso, oppure da luce oculare, dove i pazienti vedono onde o nuvole colorate quando chiudono gli occhi nel buio». Ulteriori sintomi sono la fotofobia, cioè un’intolleranza anormale alla luce, e la nictalopia, un deficit visivo che si manifesta di notte o negli ambienti poco illuminati.

Come si arriva alla diagnosi

La diagnosi è principalmente clinica, perché si basa sull’anamnesi del paziente da parte del medico, che deve riscontrare la neve visiva e alcuni dei sintomi potenzialmente correlati, escludendo la presenza di segni e sintomi di patologie con manifestazioni analoghe. «Di solito vengono consigliate una visita oculistica e una risonanza magnetica cerebrale per escludere altre malattie visive o neurologiche, ma deve sempre essere lo specialista a indicare l’iter corretto», raccomanda il dottor Viana.

«È importante rivolgersi a neurologi esperti di questa sindrome, che può essere di difficile inquadramento: talvolta, ad esempio, i sintomi visivi possono convivere con altri del tutto insospettabili, come gli acufeni, quei fischi, ronzii, fruscii o sibili avvertiti in assenza di uno stimolo acustico esterno».

Quali sono le cause

Al momento, non si conoscono le cause precise della sindrome della neve visiva. «In compenso, sono chiari i meccanismi che ne producono la sintomatologia. Pochi anni fa, sulla rivista Headache, l’équipe di Peter Goadsby ha confrontato due popolazioni distinte: un gruppo di pazienti con la sindrome “visual snow” e un gruppo di pazienti sani, con stesse caratteristiche demografiche del primo gruppo. Grazie alla PET, una tecnica di neuroimaging funzionale in grado di rilevare quali aree cerebrali stanno funzionando in un determinato momento, si è notato che nei pazienti con sindrome della neve visiva c’era un’aumentata attività della corteccia cerebrale visiva supplementare (lingual gyrus), che serve a modulare i segnali in entrata della corteccia visiva primaria, quella che ci permette di vedere e che a quel punto risulta “sovraccarica”.

«Questo giustifica il fatto che nei pazienti la luce e i segnali visivi arrivino potenziati e quindi fastidiosi, generando ad esempio la fotofobia, o disturbati da segnali abnormi, creando quindi i “puntini” della visual snow, oppure che altri fenomeni generati fisiologicamente dall’occhio o nelle vie visive, che normalmente vengono filtrati o esclusi, come le miodesopsie, risultino più evidenti e fastidiosi. In altre parole, qualunque stimolo visivo è rafforzato».

Come si tratta la sindrome della neve visiva

Purtroppo, per la sindrome della neve visiva non esiste una particolare terapia, realmente efficace nella maggior parte dei pazienti. «Per fortuna, però, non si tratta di una patologia progressiva e di solito si presenta con sintomi di entità lieve-moderata, anche se talvolta può diventare disabilitante e frustrante», commenta l’esperto.

«Se il disagio è forte, si può fare un tentativo terapeutico con integratori o farmaci come alcuni antiepilettici per modulare l’ipereccitabilità cerebrale oppure si può agire su eventuali patologie concomitanti, come l’emicrania, che sicuramente presenta alcuni meccanismi neurobiologici comuni alla sindrome della neve visiva».

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