Regionali, Del Giudice: in campo con la nostra storia. Saremo decisivi? Abbiamo fatto la nostra parte – IL CIRIACO

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«Fa bene De Luca a pretendere di semplificare una coalizione che rischia di essere un maquillage dell’indistinto. E’ chiaro che l’accorpamento di liste non riguarderà chi, come i Popolari, rappresenta una storia e una cultura politica precisa. La richiesta sarà rivolta ai tanti movimentucci che nascono per il tempo di una campagna elettorale senza alcuna prospettiva politica». Giuseppe Del Giudice, coordinatore provinciale di Italia e Popolare, a tutto campo sulla lista e sui rapporti con il Pd.

 Cinque anni fa siete stati decisivi per la chiusura della coalizione di centro sinistra e per la vittoria di De Luca. Oggi si riparte da lì?

«Abbiamo fatto la nostra parte in Regione Campania. Come tutte le gestioni, anche quella De Luca può vantarsi di tanti risultati e meno di altri, ma c’è un dato politico di fondo: per noi la vicenda regionali non è prettamente amministrativa. Per i Popolari viene prima la prospettiva politica, discorso in cui si incastrano anche le elezioni indubbiamente. Trovare la via moderna del popolarismo non è un’operazione semplice, ma è necessaria. Le regionali segnano certamente la continuità di un percorso intrapreso con De Luca, dove eravamo siamo, ma soprattutto l’apertura di un discorso di prospettiva che parte dalla Campania per diverse ragioni ma che guarda al resto del Paese. Ci presentiamo con il nostro simbolo, e questo in politica, almeno per noi, non è marketing ma sostanza».

De Luca vuole uno snellimento della compagine, credete possa chiedere ai Popolari di accorparsi con altre liste di centro?

«Distinguerei tutte quelle sigle che fanno riferimento a movimentucci, capetti locali, a volte inventate per la circostanza, dai Popolari che rappresentano invece una cultura politica che parte dalla Campania perché qui c’è ancora un testimone vivente di quella grande storia che è Ciriaco De Mita. Credo che la differenza sia sostanziale. Noi non siamo degli improvvisati, ma un movimento che non è figlio di cartelli prettamente elettoralistici per traghettare questo o quel consigliere a Palazzo Santa Lucia. Credo che De Luca faccia bene a snellire e semplificare una coalizione che sta prendendo corpo come un vero e proprio maquillage di indistinto. I Popolari sono altro e daranno il loro contributo, in termini di pensiero, nella coalizione di centrosinistra cioè in un campo democratico ben distinto da quello dei populismi urlati e dei sovranismi. Ecco perché credo che la sacrosanta richiesta di De Luca riguardi altri, non noi».

De Mita in occasione della presentazione della lista dei Popolari ha definito il Pd come il partito del nulla. La convivenza elettorale non inizia proprio con il piede giusto.

«A Napoli abbiamo presentato un simbolo in cui si rivedono diverse forze diffuse sul territorio campano. Un’operazione fatta da Giuseppe De Mita per “Italia è Popolare” e Francesco Tuccillo di “Popoli e polis”, un movimento di giovani. Molti di quelli che un anno fa hanno pensato che l’obiettivo dei Popolari fosse quello di entrare nel Pd per creare l’ennesima corrente interna, oggi devono ricredersi. Sul Pd De Mita ha ragione: quel partito è nato da una fusione a freddo tra due culture, quella di sinistra e quella popolare, che da sempre gli impedisce di svolgere un ruolo guida. Noi siamo altro, proviamo ad attualizzare una cultura, un messaggio, uno sforzo che continuiamo a compiere perché riteniamo necessario. Il Pd dica con chiarezza cosa vuole essere, noi nel frattempo continuiamo a fare i Popolari. Poi in una dialettica tra forze politiche democratiche, si realizzano le coalizioni ma ci vuole chiarezza della propria cultura politica. Serve una scintilla, noi ancora una volta proviamo ad accendere la miccia».

La lista irpina parte dall’ex manager del “Moscati” Giuseppe Rosato. Perché?

«Con questa candidatura intendiamo segnare un distinguo preciso: all’epoca degli incompetenti al potere, rispondiamo con competenze e professionalità che, nel caso di Rosato, non hanno bisogno di presentazioni. Restiamo convinti che bisogna portare le persone giuste al posto giusto, per questo esprimiamo candidature di alta capacità».

Per le altre caselle si fanno i nomi del vicesindaco di Atripalda Anna Nazzaro, dell’avvocato Raffaela Manduzio di Ariano, del sindaco di San Nicola Baronia Giuseppe Moriello. Li conferma?

«Oltre la candidatura di Rosato, l’unica conferma che posso dare al momento è che abbiamo classe dirigente sul territorio ed esprimeremo quattro candidature di qualità. Le scelte del gruppo dirigente partiranno da questi presupposti».

Cosa è mancato in questi cinque anni di governo regionale nel rapporto tra Palazzo Santa Lucia e l’Irpinia?

«Ritengo che ci sia stata una certa attenzione alle aree interne, un esempio su tutti il Progetto Pilota che rappresenta una speranza per la nostra terra. Ma leggendo ad esempio i dati dei trasferimenti della Regione sull’agroalimentare, notiamo che l’Irpinia è al quarto posto, e probabilmente qualcosa non ha funzionato. Abbiamo scoperto anche dopo il lockdown che il nostro futuro passa per il ritorno alla terra, per i piccoli borghi, per i nostri prodotti, insomma per l’identità del territorio. Lo sviluppo non va ricercato altrove, bensì va costruito partendo dalle peculiarità e dalle risorse che abbiamo. Così come qualcosa è certamente mancato nel campo della sanità. Dobbiamo riportare la presenza dello Stato nelle zone interne. In questo senso gli ospedali, come quelli di Bisaccia e Sant’Angelo dei Lombardi, vanno recuperati e valorizzati altrimenti il grande centro del “Moscati”, lo abbiamo visto durante l’emergenza, rischia di scoppiare. Va ripreso in maniera seria e non più rinviabile il discorso della sanità territoriale. E poi c’è la questione acqua. Non è immaginabile che l’Irpinia, patria del petrolio blu, ciclicamente e per le reti fatiscenti e per la distribuzione della risorsa alla Puglia, resta con i rubinetti a secco. Il rapporto con Acquedotto Pugliese va rivisto in termini di ristoro per i nostri territori, bisogna porre fine alla sproporzione tra quello che diamo e quello che riceviamo».

 

 



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