“Non si può più prescindere dalla memoria del dopo sisma. L’Irpinia oggi sconta 40 anni di ritardi” – IL CIRIACO

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Storia di una ricostruzione. L’Irpinia dopo il terremoto” è l’ultima opera di Stefano Ventura. Il libro, edito da Rubbettino editore, sarà disponibile a partire dal 3 novembre ed è l’ultima opera che Ventura, docente di storia ed italiano originario di Teora, coordinatore dell’Osservatorio sul Doposisma della Fondazione MIDA e amministratore del sito Osservatorio sui rischi e gli eventi naturali e tecnologici – Università di Siena, dedica al terremoto dell’Irpinia. In occasione dei 40 anni dal sisma, Ventura propone un percorso che parte dalla maledetta sera del 23 novembre 1980 per raccontare i quattro decenni successivi, i cambiamenti dell’Irpinia, quel che resta dell’evento e della ricostruzione.

Lei è tra i maggiori studiosi del sisma dell’Irpinia e della ricostruzione che ne è seguita. Da dove nasce l’esigenza di un testo in occasione del quarantennale?

«Dopo tutto questo tempo c’era la necessità di mettere in piedi un quadro di insieme dei quarant’anni trascorsi dal sisma. La ricostruzione è sempre stata affrontata per singoli temi, mai con una visione complessiva. E questo è il tentativo del libro, fare un discorso di lungo periodo».

In molti hanno definito la ricostruzione come l’occasione mancata per l’Irpinia. E’ così?

«Bisogna risalire al contesto storico degli anni ’80, quando la spesa pubblica era fuori controllo e  c’erano altri modi di fare politica, sia a livello nazionale che locale. Due livelli che, però, nel caso del terremoto dell’Irpinia si intrecciano inevitabilmente, considerando che a capo del Governo e dei maggiori partiti politici del tempo, c’erano esponenti della provincia di Avellino. Era il periodo in cui la Cassa del Mezzogiorno falliva e tutti hanno sfruttato quella che Ada Becchi ed altri hanno definito  la cosiddetta “economia della catastrofe”. Un modello economico che abbiamo visto poi replicarsi in altre situazioni di emergenza in tutto il Paese. Un’economia della catastrofe che ha creato tante false aspettative, soprattutto tra i giovani che attendevano la rinascita del territorio per trovare un posto di lavoro che non è mai arrivato, tanto che oggi l’Irpinia registra indici di spopolamento e desertificazione senza eguali. Certamente la ricostruzione è stata l’occasione mancata. Il progetto di sviluppo promesso è stato tradito perché è mancata una classe dirigente e professionale locale all’altezza della sfida. Bisognava puntare sulla formazione dei giovani del posto e sulla vocazione del territorio. Non a caso tutte le aziende che arrivarono in Irpinia dopo il terremoto erano a titolarità esterna, e non appena hanno avuto l’occasione di andar via, lasciando per strada operai ed impiegati, lo hanno fatto. Non è stata seguita la vocazione del territorio, quella che Manlio Rossi Doria già negli studi del 1981 indicava. Sviluppare il settore agroalimentare e l’agro industria poteva essere l’occasione, invece si è preferito inventare progetti industriali esterni che poi si sono rivelati fallimentari a differenza, ad esempio, del settore vitivinicolo che si è sviluppato autonomamente al di là del terremoto. I fondi della ricostruzione non sono stati investiti sulla filiera del vino, prodotto d’eccellenza del territorio che, però, è cresciuto in modo indipendente dalla politica».

Nel libro c’è un capitolo intero dedicato al volontariato che arrivò in massa nei comuni colpiti. Cosa resta di quella commovente pagina della tragedia?

«Lo vediamo anche oggi con l’emergenza Covid: il ruolo dei volontari è stato ed è fondamentale, e molto spesso sopperisce alle mancanze del pubblico. Il volontariato è certamente una fortunata costante delle tragedie italiane, ma possiamo affermare che in Irpinia ci fu uno degli ultimi grandi momenti di solidarietà nazionale. Nei nostri comuni colpiti arrivarono da tutta Italia tantissimi giovani, che ricordano quell’evento e il loro intervento eroico, forse più degli irpini stessi. Fu una pagina bella nella catastrofe. Di esperienze da raccontare ce ne sarebbero davvero tante, ne cito una su tutta quelle degli operai Fiat che avevano appena subito una pesante sconfitta con la marcia dei 40mila (quadri della Fiat) a Torino che sanciva la fine delle battaglie sindacali, ma che vennero comunque a portare soccorso e diedero il loro impulso per mutuare modelli di possibile sviluppo come le cooperative e i comitati popolari».

Oggi la politica, anche nell’ultima campagna elettorale per le regionali, parla tanto della necessità di ripopolare i borghi delle aree interne. Cosa è stato fatto, in 40 anni, per andare in questa direzione?

«L’Irpinia è un’area interna del Mezzogiorno che parte, esattamente come era nell’80 sia per Avellino che per Potenza, in modo svantaggiato. Se non si mette mano ai servizi essenziali non si va lontano: se guardiamo all’area del cratere, non possiamo non osservare che non c’è un posto di terapia intensiva nell’arco di 70 chilometri. Servizi essenziali sono la sanità, ma anche la scuola, i trasporti, la banda larga. Su tutto questo l’Irpinia sconta ancora oggi un ritardo gravissimo. I numeri del turismo che ci raccontiamo come una favola, non sono altro che decimali ininfluenti. Parlare di ripopolamento e turismo, mentre gli indici di spopolamento sono inarrestabili, è inutile. Sarebbe già un successo riuscire a fermare l’emorragia in uscita, per poi pensare concretamente a possibili ritorni nei nostri borghi. Se un 18enne quando finisce la scuola non ha una speranza da poter coltivare a casa sua, è normale che fa le valigie e va via».

Gli irpini hanno ancora memoria di quel che è stato?

«tGli irpini ricordano tuti perfettamente i 90 secondi del sisma, quella è una ferita che sanguina anche per chi non era ancora nato nel 1980. E’ scritta indelebilmente nel dna di questa popolazione. Il difetto di memoria collettiva si registra sulla ricostruzione e su tutto quello che ha rappresentato il dopo terremoto. Non a caso il post sisma e tutti gli scandali che ne sono conseguiti, ci è stato raccontato quasi sempre dagli altri. Tra i motivi della memoria ad intermittenza c’è certamente il fatto che molti dei protagonisti di quella ricostruzione sono ancora sulla scena politica attuale. I conti con il passato non sono ancora stati fatti, almeno non del tutto. Studi, ricerche, libri rappresentano certamente l’occasione per farli, cercando di svincolarsi da una generazione che ha vissuto, tra buoni e cattivi esiti perché ovviamente non bisogna generalizzare, quella stagione. L’analisi non può essere né assolutoria, né generalista. Il 40esimo deve essere innanzitutto l’occasione del ricordo di chi non c’è più e dei tanti che persero la vita sotto le macerie anche a causa dei ritardi nei soccorsi, segno che l’Irpinia era dimenticata completamente dal resto del Paese e, forse, in parte lo è ancora».



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