Massimo Polidoro, perché crediamo nell’impossibile

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Va bene fare ipotesi, sostenere il nostro punto di vista, avere opinioni personali. Tutto legittimo, siamo nel campo della libertà di discernimento e ognuno può dire la sua. Ma se facciamo un salto più spinto, entriamo di diritto nel mondo delle “credenze”, quel pianeta antichissimo ma sempre attraversato da illusioni, suggestioni, idee assurde che scambiamo per prove inossidabili di verità condivise anche da altri. La loro versione più contemporanea sono le fake news, ma ce n’è per tutti i gusti, dalle teorie del complotto alla presenza di extraterrestri, medium o guru di varia origine fino a secolari superstizioni ancora attuali o pregiudizi duri a morire. Perché succede, nella società delle medicine che curano patologie un tempo mortali, della tecnologia che permette di parlare e vedere chi si trova dall’altra parte del mondo e che viaggia nello spazio?

Massimo Polidoro, docente universitario e divulgatore scientifico, noto per le sue indagini su fenomeni insoliti, bufale e presunti misteri, ha indagato nel suo ultimo libro La scienza dell’incredibile (Urrà Feltrinelli) questo lato oscuro ma radicato che da sempre accompagna l’umanità. A lui, Starbene ha chiesto i passaggi più significativi.

Perché ha intitolato il suo libro La scienza dell’incredibile?

Ho cercato di chiarire quali funzioni hanno svolto e continuano a svolgere i sistemi di credenza negli esseri umani. Dietro ci sono meccanismi psicologici, sociali, biologici che spiegano come la mente cada in certi tranelli ingannevoli, ci autorizzi a ritenere che quella convinzione sia un fatto accertato e reale e a considerare chi non la pensa come noi irrazionale, ignorante o, peggio, in malafede.

I social quanta responsabilità hanno?

Pensare che il mondo sia improvvisamente impazzito, per colpa del web, è un errore. I social, che in un secondo raggiungono miliardi di individui senza alcun filtro, hanno reso solo più affollato e caotico il catalogo delle assurdità. Ma la tecnologia non fa altro che amplificare qualcosa che è cristallizzato dentro di noi: il bisogno di dare un senso a ciò che ci circonda. Gli uomini sono portati a credere a ciò che li fa stare bene, li rassicura, sostiene le loro scelte, e a rifiutare ciò che non capiscono o rischia di metterli in crisi. Questo è il gioco (innato) a favore delle fake news: anche quando arrivano le smentite, i danni sono già stati fatti poiché hanno trovato terreno facile su cui crescere.

Come si formano queste credenze insensate?

Per molte ragioni. C’è chi crea dicerie, leggende, falsità per specularci (basta pensare ai meme virali delle fake news), per motivi ideologici (propagandare una notizia di qualsiasi tipo, screditare un nemico ecc.), per inquinare le acque del dibattito pubblico. Ma le teorie irreali possono nascere anche in maniera spontanea di fronte a eventi sconvolgenti, guerre, pandemie, calamità naturali dove non sia possibile darsi – almeno al momento – una spiegazione documentata e verosimile. Ecco che viene fuori di tutto, e anche spiegazioni paradossali passano per ipotesi scientifiche. È un meccanismo reattivo, del tutto umano: non riusciamo a vivere nell’incertezza e, quindi, ci serviamo di spiegazioni anche fasulle ma utili a tappare quel buco che, altrimenti, ci resta in testa e che crea ansia, panico.

È la paura la spinta più forte?

L’istinto, in senso generale. Nonostante i progressi della civiltà, la nostra natura più profonda è ancora quella degli antenati del paleolitico, in bilico perenne tra la vita e la morte. Tendiamo a reagire d’impulso e immediatamente a credere in qualcosa che ci metta al riparo da possibili pericoli. Il cervello è un sistema straordinario per assicurare la sopravvivenza della specie umana, quindi è spinto a credere anche a cose palesemente false. Quest’ultime sono tane psicologiche in cui si rifugia.

Come ci si entra?

Ci sono molti ingressi, ed è difficile trovarne uno principale: molto dipende dalle condizioni del momento e dai soggetti interessati. Faccio l’esempio di un attentato terroristico: per alcuni, i responsabili sono gruppi rivoluzionari che seminano terrore; per altri si tratta di un’operazione segreta voluta dalla stessa nazione colpita, per azzerare il dissenso; altri ancora sostengono che si tratti solo di una simulazione mediatica. Ciascuna di queste ipotesi può essere vera, in via teorica, ma non possono esserle tutte contemporaneamente. Il fatto è che il medesimo episodio può essere visto e interpretato in maniera differente da diversi gruppi di persone. Non serve che queste storie siano vere, ciò che conta è che le crediamo tali. E ciascuna supposizione diventa una lente attraverso la quale vediamo e interpretiamo il mondo e gli eventi che in esso si verificano.

Davanti all’evidenza dei fatti non siamo “costretti” ad arretrare?

Le credenze sovrannaturali, magiche, anche religiose sono insite nella biologia umana: un tempo servivano per sopravvivere, adesso si sono trasformate in altro ma trovano sempre nicchie psicologiche e sociali dove sistemarsi. Le facciamo nostre per conformismo, cioè per seguire il gruppo (famiglia, lavoro, amici) di cui facciamo parte, a cui ci sentiamo vicini. E arriviamo a ignorare i fatti che smentiscono queste falsità. Dal punto di vista evolutivo, da sempre abbiamo bisogno di protezione, cooperazione e conferme da parte della tribù d’appartenenza.

Facciamo nostre le credenze perché altrimenti vanno in frantumi le nostre convinzioni profonde e si crea una dissonanza cognitiva, ossia l’impossibilità di far convivere quello che dovremmo con ciò che ci piacerebbe fare. Il caso tipico è continuare a fumare, nonostante gli alert scientifici che fa male alla salute, perché crediamo all’aneddotica di ultra novantenni accaniti tabagisti. Facciamo nostre le credenze quando c’è il bisogno di trovare un conforto: tante fantasie magiche, soprannaturali, al pari degli indottrinamenti di guru e santoni hanno questa funzione consolatoria, aiutano a non arrendersi di fronte a un fatto difficile da accettare. Permettono di avere figure di riferimento e di cercare soluzioni sì paradossali ma che danno un minimo di speranza, almeno in apparenza.

Queste falsità selezionano le loro vittime?

L’anti-scienza non colonizza solo le menti incolte e sprovvedute, come può sembrare. Anzi, con la sua semplicità ingannatrice tende a vincere lo scontro diretto con le argomentazioni scientifiche. Gli studi – l’ultimo è di un team di ricercatori guidato dallo scienziato cognitivo della Brown University (USA), Steven Sloman, apparso nell’estate 2022 su Science Advances – ci fanno vedere che spesso sono proprio le persone con maggiori capacità di ragionamento e di ricerca che trovano il modo di auto convincersi di una teoria priva di fondamento, e nulla li scalfisce più. Come se ci fosse una differenza incolmabile tra la conoscenza oggettiva (quello che un individuo effettivamente sa) e quella soggettiva (quello che si presume di sapere). Il problema sta dunque nell’eccesso di fiducia verso ciò che si pensa di conoscere.

Vuol dire che dobbiamo convivere con le nostre illusioni salvifiche?

Noi non siamo pensatori che si emozionano, bensì siamo esseri emotivi che qualche volta pensano, ed è bene che sia così. Se non scagliassimo la freccia dell’impulso, non avremmo tante informazioni “giuste” per vivere. Abituiamoci, però, ad avere, nelle circostanze più importanti, un atteggiamento razionale, freddo e lucido: se quella notizia (o quel fatto) ci fa indignare, mettiamo da parte la rabbia che ci consegna alla prima soluzione a portata di mano e diamoci il tempo di esplorare la realtà. Niente è immediato. Pronta lì, per noi, c’è solo una magia illusoria.

Come si fa a ritrovare la bussola

«Occorre tenere accesa la fiammella della curiosità e dell’umiltà», suggerisce Polidoro. «Entrambe fanno progredire la conoscenza, in senso oggettivo e non soggettivo. Di fronte a un qualsiasi evento, continuiamo a indagare, a cercare delle risposte e, insieme, a porci dei limiti (“forse mi sto sbagliando”; ”conviene aspettare altre prove”). Evitare di trasformare il primo pensiero in dogma granitico ci mette nelle condizioni di andare oltre, di arricchirci di continue informazioni. È il metodo che ha permesso alla scienza, fatta di ipotesi e tesi che progrediscono nel tempo, di evolversi. Solo che farlo è difficile, non ci viene naturale».

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