Idee Resistenti. Diego Infante, il paladino degli alberi secolari – IL CIRIACO

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Diego Infante

Diego Infante, 32 anni atripaldese di nascita e avellinese d’adozione, ama definirsi un “umanista antiumanista”, ha studiato giurisprudenza e filosofia con una particolare passione per quella indiana su cui ha scritto due libri “Le ragioni del Buddha” (Feltrinelli, 2018) e “La ragione degli dèi. La bellezza del molteplice e la dittatura dell’unico” (Italic, 2015).

Diego Infante

Il suo intento è superare quello che Gadamer definiva “specialisti” per approdare ad una comprensione olistica e sincretica di tutto lo scibile umano. Tra le sue passioni ci sono anche la fotografia, il trekking e la botanica: Infante infatti è un conoscitore degli alberi secolari del nostro territorio e collabora con la rivista Simbiosi Magazine.

Diego, com’è nata la collaborazione con Simbiosi Magazine e il gruppo Facebook Alberi Monumentali d’Irpinia?

“In quanto attivista ambientale, con special riguardo alle foreste, ho avuto modo di entrare in contatto con le migliori professionalità nel campo della conservazione (valga su tutti il Prof. Franco Tassi, per oltre trent’anni direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo). Diciamo che Facebook è stato lo strumento che mi ha permesso di allargare campo d’indagine e orizzonti professionali, visto che per il suo tramite sono stato scelto quale redattore di una nuova rivista che si occupa di ambiente: “Simbiosi Magazine”, che è abbinata a un progetto di ricostituzione del bosco planiziale padano. Diamo tutto lo spazio possibile alle voci più influenti in tema di conservazione, a pittori, fotografi, filosofi (nel numero zero vi è un mio articolo sull’ecologia profonda), sempre nel solco di un approccio olistico e interdisciplinare. Il direttore è Giorgio Galleano, giornalista del Tg3, con una grande esperienza e sensibilità nei confronti di queste tematiche”.

Parlaci della tua passione per gli alberi e del gruppo Facebook dove mostri gli alberi più importanti del nostro territorio.

Faggeta di Piano Migliato, Calabritto – foto Diego Infante

“Penso che gli alberi siano il collegamento perfetto tra etica ed estetica: il piacere della vista si accompagna alla (ri)scoperta di valori reconditi e ancestrali. Ancora una volta credo che il problema sia culturale: fin quando il bosco sarà considerato materia inerte da sfruttare, continueremo a scivolare nel baratro. Il mio approccio intende giustappunto picconare l’antropocentrismo: personalmente intendo la vita come un continuum orizzontale in cui nessuna specie può pretendere la centralità. Si tratta di uno degli assunti alla base dell’ecologia profonda. Quanto al mio impegno in qualità di attivista, sono il promotore (insieme a tanti altri amici, con particolare riguardo al gruppo “Liberi pensatori a difesa della natura”) di una petizione (oltre 80000 firme raccolte: http://chng.it/Z8pP4MQm) che chiede un cambio di paradigma in tema di gestione forestale: tra le tante minacce, il nuovo Testo Unico Forestale, le sovvenzioni all’energia da biomasse forestali, i tagli abusivi, etc. Da ciò è scaturita una vera e propria battaglia con il gotha dei dottori forestali italiani, in maggioranza schierati su posizioni “interventiste”, combattuta sia su social che a colpi di articoli sul Fatto Quotidiano. Quanto agli alberi monumentali d’Irpinia, essendo il referente regionale dell’associazione RAMI (Registro degli Alberi Monumentali Italiani) ho pensato di creare il gruppo Facebook “Alberi monumentali d’Irpinia”, che sta dando ottimi frutti, sia rispetto alle informazioni sui nostri patriarchi, sia come forma di interazione tra gli iscritti. In particolare, è in questo contesto che è maturata la collaborazione tra me e il Dott. Ferdinando Zaccaria per il censimento degli alberi monumentali del Comune di Avellino, che al momento non ha nemmeno una pianta inserita negli elenchi ministeriali. A titolo completamente gratuito, siamo in attesa di ricevere la determina dirigenziale che ufficializzi l’incarico”.

Quali sono a tuo parere le zone più belle con gli alberi più antichi, consigliaci due o tre itinerari da percorrere in questa estate post-covid.

Acero Montano, Piano Migliato – foto Diego Infante

“Intanto premetto che non tutti gli alberi vetusti sono monumentali, così come non tutti gli alberi monumentali sono vetusti. Ciò dipende dal tasso di accrescimento, che varia in maniera sensibile a seconda della specie. In Irpinia la foresta più bella che ho visto si arrampica sul Monte Cervialto a partire dal Piano Migliato di Calabritto, purtroppo totalmente negletta dagli amministratori e sconosciuta a più (il taglio abusivo si accanisce anche su piante monumentali). Nei pressi del medesimo piano, ma in comune di Bagnoli Irpino, ho scovato un bellissimo acero montano di 428 cm di circonferenza: un gigante rosa mai toccato dalla mano umana, che ci invita a lottare per la difesa dei nostri boschi (potete vedere tutto nel gruppo Facebook). Un luogo di sicuro interesse è la cascata di Valle della Caccia presso Senerchia (in quota è presente una stazione relitta di pino nero variante “Villetta Barrea”), mentre altre cascate interessanti si trovano nei pressi di Calabritto e nel territorio comunale di Montella. Se poi si tratta di cambiare regione, c’è solo l’imbarazzo della scelta: dal Casentino al Pollino abbiamo una dozzina di faggete vetuste iscritte nel patrimonio dell’UNESCO. Particolarmente suggestiva la Foresta Umbra nel Parco Nazionale del Gargano, scrigno inesauribile di alberi monumentali, tra cui magnifici esemplari di tasso. Tra le specie è quella che preferisco di più, in quanto relitto di epoche remotissime. Di più: il Taxus baccata ha un nome comune a mio parere del tutto inappropriato (“Albero della morte”), per via della tossicità di rami, foglie e semi. Dal mio punto di vista il tasso rappresenta invece una perfetta esemplificazione della vita, perché comprensivo, in maniera icastica, di ciò che alla vita si oppone. In breve, un albero che ci invita a riflettere sul non dualismo, sull’interdipendenza e la compenetrazione degli opposti. Un concetto, questo, più orientale che occidentale”.

Cosa rappresentano per te questi grandi generali verdi, testimoni del tempo che scorre e campioni della natura?

Diego Infante e il faggio di Calabritto

“I Patriarchi sono testimoni del tempo, memoria vivente del nostro passato e allo stesso tempo speranza per il futuro di chi verrà dopo di noi. È bello pensare alle generazioni che hanno goduto dell’ombra di annose chiome e a tutte le storie e le leggende che si tramandano su questi giganti. Di primo acchito potremmo parlare di “muti testimoni”: eppure, a ben vedere, gli alberi una voce ce l’hanno. Basta lasciarsi sedurre dalle cortecce corrugate, dal sibilo del vento che ne accarezza le foglie, per essere trasportati in una dimensione totalmente “altra”, in cui si riverbera l’eco del tempo che fu. Alberi che già dai nomi rivelano qualcosa che eccede la dimensione materica: la nostra provincia ha il privilegio di ospitare due meravigliose querce, dai nomi assai evocativi. Mi riferisco al “Cerro del Drago” e al “Cerro del Tesoro”, entrambi inseriti nell’elenco ministeriale, che fanno bella mostra all’interno del Bosco Origlio di Lacedonia. Un distillato prezioso d’altrove che già profuma d’Oriente”.

Da quanto tempo esplori la natura alla ricerca di questi tesori verdi?

“Diciamo che nutro una particolare sensibilità per i temi ambientali fin da quando ero piccolo. Accanto a questo, mi ha sempre contraddistinto una vocazione per la scoperta. A pensarci bene, non molto resta da scoprire su questo pianeta (a eccezione delle profondità marine): gli alberi monumentali rappresentano una di queste eccezioni, giacché molto spesso vanno cercati. E quando li trovi, ti si apre il cuore. Nel mio caso, la passione specifica per gli alberi ha “paradossalmente” origini filosofiche, e si connette alla riscoperta del passato pagano in cui l’albero era oggetto di venerazione. Mi sono soffermato in particolare sull’idea del sacro immanente, che si dispiega nella natura che ci circonda. Difficile, se non impossibile, riconciliarsi con essa facendo leva sulla sensibilità personale o sulla legge positiva. A tal proposito, occorre innanzitutto un nuovo paradigma scolastico, che integri il nozionismo con la parte esperienziale ed emozionale, attualmente mancante. È solo in questo modo che riusciremo a sentirci parte del Tutto”.

Veniamo alle note dolenti, il territorio è adeguatamente difeso contro chi lo vuole inquinare e distruggere? C’è qualche caso clamoroso di cui ci vuoi parlare, che magari hai scoperto nei tuoi giri?

“Come accennavo poc’anzi, la sensibilità sulle tematiche ambientali è scarsa o nulla, specie in relazione alle generazioni che ci hanno preceduto. Purtroppo la civiltà contadina non è stata in grado di legare le esigenze della sopravvivenza a quelle della conservazione (salvo le eccezioni costituite dai cosiddetti “boschi banditi”). In assenza di un freno di natura religiosa allo sfruttamento utilitaristico, ha prevalso un’idea sbagliata di centralità dell’uomo, di cui oggi paghiamo le conseguenze. Per entrare nel dettaglio, duole constatare che qui in provincia siamo pressoché all’anno zero. Basti pensare che nel capoluogo non vi è la rappresentanza di nessuna associazione ambientalista di rilievo nazionale. I parchi regionali che insistono sul territorio (Partenio e Picentini) non si capisce a quale funzione assolvano, visto che dovrebbero mettere al primo posto la conservazione delle risorse e le possibilità di una fruizione consapevole. Stessa cosa per tutti gli altri enti, molto spesso inutili sovrapposizioni. Quello che ho visto è un deplorevole utilizzo di fondi pubblici (un’area faunistica del cervo sul Terminio attualmente devastata e occupata da mucche e cavalli, il Piano Migliato di Calabritto lasciato ai predatori di legname e occupato da un incredibile parco giochi in quella che è una delle aree a più elevato pregio naturalistico dei Picentini). In secondo luogo, non esiste una rete di sentieri segnalata in maniera decente (fatta eccezione forse per il Parco del Partenio). In breve, si può facilmente constatare il fallimento di un intero ceto politico, ma attenzione: questi politici vengono votati ed è chiaro che nella società prevalgono istanze utilitaristiche, con scarso o nullo interesse per il futuro delle prossime generazioni. Per concludere: fin quando le nostre montagne saranno considerate unicamente come luogo per pic-nic domenicali, le speranze di cambiamento sono destinate a scontrarsi con una realtà decisamente poco edificante. Non si tratta di una dichiarazione di resa, ma di uno sprone nei confronti di tutti coloro che hanno a cuore il territorio affinché si faccia rete in ordine alla costruzione di nuovi possibili orizzonti”.



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